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 2010  settembre 06 Lunedì calendario

KASHMIR NEL CUORE DELL´ASIA FRA I GUERRIERI BAMBINI DELLA NUOVA INTIFADA

Il clima nella capitale d´inverno del Kashmir indiano è piovoso con sprazzi di sole accecante che si riflette sul placido lago Dal. Sereno e perturbazioni improvvise corrispondono a ciò che sta avvenendo tra cielo e terra, sulle montagne innevate ai confini con il Pakistan, così come lungo le vecchie strade sotto coprifuoco nella decadente Venezia dell´Est: Srinagar, irrorata di canali solcati dagli shikara, barconi addobbati come gondole e piccole canoe dei pescatori, che in mancanza di turisti ripuliscono flemmatici l´acqua dalle alghe.
Dopo anni di una relativa calma e ripresa degli affari, grazie alla drastica riduzione delle infiltrazioni di terroristi dall´Azad Kashmir pachistano, la vita attorno al lago è di nuovo sospesa da quasi tre mesi tra incertezza e paura. Prova ne sono i magnificenti e solitari giardini degli imperatori islamici Moghul, affollati nei fuggevoli tempi di pace da scolaresche e coppie di innamorati a passeggio. Le loro belle rose oggi fioriscono e appassiscono non viste su prati ben curati ma vuoti. I giardinieri del governo sono tra i pochi a lavorare per i rari turisti e visitatori che ancora arrivano a Srinagar nonostante una sanguinosissima Intifada a colpi di pietre costata in dieci settimane già 65 morti, di cui la metà sotto i 18 anni e alcuni tra i 9 e gli 11. Ma l´intera Valle, che l´India rivendica formalmente dalla Partizione col Pakistan del 1947, è anche al culmine della più capillare e prolungata serrata indipendentista anti-indiana della storia recente.
A guidarla con calendari settimanali di scioperi e manifestazioni teoricamente pacifiche – non ci sono state vittime finora tra i soldati - sono i partiti indipendentisti tradizionali, con in testa il vecchio patriarca 84enne Syed Ali Shah Geelani, che ha passato decenni in prigione e ora è tornato di nuovo agli arresti. Ma i veri protagonisti dell´Intifada a colpi di sassi sono spesso irrispettosi dei suoi stessi ordini di non usare violenza. Sotto gli slogan del "Quit India movement" – "India vattene" – sfilano i volti puliti e sbarbati di migliaia di ragazzi e ragazzini delle scuole medie e superiori, spesso delle elementari, Per la prima volta così massicciamente in piazza scendono anche le loro sorelle e madri. Fanno parte per lo più dell´esercito di parenti e conoscenti di quanti, 125mila in meno di 20 anni, hanno perso la loro vita per la causa della separazione: morti a un posto di confine con un fucile in mano, oppure lungo una strada di Srinagar e nei villaggi delle precedenti rivolte degli anni ´90 e del 2008.
A preoccupare le donne c´è il fatto che molti muoiono in carcere sotto tortura, e molti altri ancora – sarebbero 30mila e tutti giovani i desaparecidos della Valle – spariscono senza lasciare traccia. A consolarle non serve sperare che i loro figli siano finiti ad allungare oltre confine l´esercito dei fondamentalisti islamici. Fedeli alla tradizione dei santi e pacifici mistici Sufi dell´Islam, i kashmiri non hanno la stessa visione estrema delle leggi Coraniche, né il desiderio della vendetta di sangue.
Molti cittadini di Srinagar – nessuno sa quanti – sono anche in disaccordo con le serrate e le sassaiole, «che non porteranno da nessuna parte», come sentiamo dire a bordo di uno dei rari taxi collettivi in servizio. Eppure tutto è fermo, paralizzato dalla paura di un nuovo scontro, di un altro giorno di coprifuoco, mentre corrono le voci di un aiuto esterno alla rivolta da parte del Pakistan. Finché si spara a Srinagar – ci dice un ufficiale dell´esercito indiano – Islamabad può rifiutarsi di assecondare la richiesta Usa e del governo di Delhi per un intervento più forte in Afghanistan.
A dilatare verso tempi indefiniti la fine di questa ennesima tragica rivolta della Valle, è l´impressionante quantità di vittime civili che alimentano col loro "martirio" la rabbia e il desiderio della popolazione di veder scomparire presto le pattuglie e gli odiati bunker, disseminati in 200 incroci della sola capitale. A ogni funerale una marcia e una sassaiola, una nuova vittima, poi un nuovo funerale che finirà nel sangue.
Tutto è iniziato l´11 giugno, quando un 17enne è stato colpito alla testa da un candelotto dei militari sparato a distanza ravvicinata durante una manifestazione anti-indiana nello stadio di Rajouri Kadal. Tufail Ahmad, morto col cranio fracassato, era figlio unico e studiava brillantemente, ma quel giorno tornava da una lezione privata al momento sbagliato e nel posto sbagliato. Presto la rabbia per l´ "errore" dei soldati si è sommata a quella già manifestata dalla piazza per altre tre vittime innocenti, trasportatori uccisi a maggio lungo il confine pachistano da una pattuglia di "cacciatori di terroristi" con l´uniforme dell´esercito.
Tufail non partecipava alla furiosa sassaiola cominciata senza preavviso in città per protestare contro l´incidente sul confine, e la sua innocenza è presto diventata la bandiera della rivolta, frutto di un malcontento che cova sotto la cenere da molte generazioni. Non solo quelle nate e cresciute dopo i massacri degli anni ´90, ma tutte le precedenti, dalla partizione del 1947, che ha diviso e schiacciato il Kashmir tra India e Pakistan, fino ai lontani martiri del regime dei Maharaja Dogra. Ogni studente delle elementari sa che quei principi hindu acquistarono la Valle dagli inglesi a metà dell´800 pagandola poche migliaia di rupie più qualche capra e cavallo, prima di cederla 63 anni fa all´India in cambio della difesa dagli invasori musulmani, giunti in massa dal neonato Stato islamico.
Fatto è che la chiusura di negozi, banche, uffici e scuole a nord e a sud di Srinagar sta mettendo in ginocchio l´intera Valle, il Paradiso in terra che l´India non vuole assolutamente perdere, al costo di spese militari enormi e di una crescente impopolarità tra gran parte della popolazione musulmana.
Di nessuna autorità gode invece il governo locale di Omar Abdullah, considerato un fantoccio di Delhi come i suoi predecessori. Eppure quando morì suo nonno Sheik Abdullah fu accompagnato al cimitero da due milioni di kashmiri in lacrime. Oggi la sua tomba è protetta per paura di una dissacrazione. Sheik paga l´errore di essersi fidato del premier indiano Nehru che promise un referendum sull´autodeterminazione mai avvenuto. Ma nemmeno Gesù Cristo se la sentirebbe oggi di dire: «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra».