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 2010  settembre 05 Domenica calendario

Quell’ovatta mediatica attorno agli Agnelli - Gianni Agnelli, l’Avvoca­to, avrebbe oggi ottantanove anni

Quell’ovatta mediatica attorno agli Agnelli - Gianni Agnelli, l’Avvoca­to, avrebbe oggi ottantanove anni. Probabilmente, anzi si­curamente, sua figlia Marghe­rita non avrebbe litigato con Franzo Grande Stevens e con Gianluigi Gabetti. Probabil­mente, anzi sicuramente, nes­suno avrebbe saputo di patri­moni depositati all’estero, di vitalizi per le maitresses, di fondazioni e operazioni finan­ziarie in territorio non italia­no. Gianni Agnelli non c’è più dal ventiquattro di gennaio dell’anno Duemila e tre e da quella notte, anzi nelle ore im­mediatamente successive (al mattino venne ugualmente convocata la riunione dell’ac­comandita di famiglia!) è in­cominciata un’altra saga del­la dinastia più illustre del Pae­se. Sette anni per sapere e non capire, sette anni tra bat­taglie in tribunale, liti tra pa­renti e serpenti mentre sullo sfondo restava e resta quel bottino ultra miliardario na­scosto alla stessa famiglia e, soprattutto, all’Erario. Un’evasione fiscale clamoro­sa, del più potente imprendi­tore italiano, una fuga dal do­vere civile, sociale, di un sena­tore, a vita, della Repubblica. Eppure non senti odore di scandalo, non si ha notizia di processi mediatici in televi­sione, in prima serata, nes­sun dibattito, nessun confron­t­o per approfondire il fenome­no: il fenomeno di una fami­glia che per mezzo secolo ha dominato la scena industria­le e politica del Paese, espor­tando all’estero, oltre il dena­ro succitato, un’immagine po­­sitiva, affascinante, colta ed elegante dell’Italia altrimenti caciarona, mandolinara, spa­ghettara. Il problema, dunque, non è la responsabilità, tutta da ac­certare, dell’Avvocato e dei suoi «tutori» nella gestione clandestina del patrimonio: se ne occuperanno i tribuna­li; il problema, piuttosto, ri­guarda il bavaglio che la stam­pa, tutta, ha voluto indossare (uso un verbo gentile) in que­sti ultimi anni, mesi, su una questione che con altri perso­n­aggi e interpreti ha provoca­to invece scalpore, denunce, prime pagine corredate da fo­tografie e mappe di sposta­menti e residenze fittizie. Valentino Rossi è stato uno di questi casi, da eroe a diavo­lo, da simbolo dell’Italia sana e vincente a bandiera nera del pirata furbo e manigoldo, comunque costretto a presen­tarsi in conferenza stampa, ad ammettere l’errore e a ripa­rare previo versamento allo Stato dell’importo multimi­lionario. Così accadde anche per Luciano Pavarotti, prota­gonista dell’unica stecca del­la sua carriera, un’evasione di ventiquattro miliardi di lire che lo portò al patteggiamen­to, in televisione, davanti al­l’allora ministro delle Finan­ze, Ottaviano Del Turco (guar­da i casi della vita nostrana), una stretta di mano, la conces­sione del pagamento a rate, non «comode» come si usa di­re con cifre meno feroci. Dun­que tutti i particolari di crona­ca, il faccione in prima serata durante i telegiornali nazio­nali, regionali, locali, gli insul­ti e i fischi del popolo abituato a passare da piazza Venezia a piazzale Loreto. Ma con Agnelli? Per favore. Con il miliardo e passa di eu­ro nascosto altrove? Niente. Con le fondazioni e le azioni anche queste off shore? Nien­te ancora e sempre. Il silen­zio, qualche riga nelle pagine interne del quotidiani, noti­zie del contenzioso familiare tra Margherita e donna Marel­la e via, per non scomodare il monarca che non c’è più e per non infastidire chi ne ha pre­so il posto. Questo poteva ac­cadere, anzi accadeva, nei fa­volosi anni dell’altro secolo, quando lafigura dell’Avvoca­to era così imponente da met­tere tutti, quasi tutti, comun­que molti, compresi i suoi pa­renti, in silenzio rispettoso,al­l’ombra timorosa. Al massi­mo il mormorio di quartiere, le voci della fabbrica, la «Fero­ce » nei confronti di «Risula» (per il capello riccio), al massi­mo le scudisciate, in prima pa­gina con spillone rosso sul­l’ Unità , di Fortebraccio, al se­colo Mario Melloni, che nei suoi corsivi chiamava il pa­drone della Fiat «l’avvocato Basetta il quale preferisce far­si chiamare con lo pseudoni­mo di Gianni Agnelli». Una leggenda, che sembra però assai verosimile, riferì che il film «Il silenzio degli in­nocenti » ebbe questo titolo soltanto nella nostra lingua, conservando all’estero, in Francia, in Spagna, in Inghil­terra, l’originale «Il silenzio degli agnelli». Bastava il ru­more dei passi, l’annuncio che si sarebbe appalesato il si­gnor Fiat e si creava il vuoto, tutti pronti alle riverenze «Ar­riva Agnelli, scortato da Luca Cordero di Montezemolo che non è un incrociatore» fu una delle cento battute di Mario Melloni. I Fortebraccio contempora­nei non conoscono Shakespe­are, ma sembra che non cono­scano nemmeno l’avvocato Basetta, lo evitano eventual­mente, se la cavano dicendo che ormai appartenga al pas­sato, preferiscono glissare sul­l’evasione miliardaria che, a contarli uno per uno quegli euro, sono roba da finanzia­ria tremontina. Meglio anda­re sul bersaglio facile, il cen­tauro, il cantante, il musici­sta: fanno copertina, garanti­scono l’audience. Meglio te­nersi alla larga da quella mon­tagna di soldi scomparsa nel nulla, meglio il silenzio. Il si­lenzio dei colpevoli.