GLAUCO MAGGI, MARCO BELPOLITI, La Stampa 6/9/2010, pagina 22-23, 6 settembre 2010
Addio vetrine arriva il negozio “Touch screen” (2 articoli) - Ci sono tante vetrine vuote, sulla passerella della moda internazionale che è la Madison Avenue, con il cartello «Affittasi»
Addio vetrine arriva il negozio “Touch screen” (2 articoli) - Ci sono tante vetrine vuote, sulla passerella della moda internazionale che è la Madison Avenue, con il cartello «Affittasi». Ma la recessione ha imposto l’abbandono dei locali ai commercianti di tutti i generi un po’ ovunque, nella Grande Mela e in tutta America. E non è solo questione di crisi del momento. Le vetrine su strada stanno cambiando pelle e anima, e quando riapriranno i negozi della prossima generazione non saranno più gli stessi. Il vecchio punto vendita ha perso smalto, come dimostra uno studio della Ipg Media, società californiana di consulenza di marketing al dettaglio. Condotto tra 10mila clienti, ha rivelato che il grado di soddisfazione nei negozi declina anno dopo anno del 15%. La gente compra sempre di più via online, ma non è solo la concorrenza digitale che impone al settore di reinventarsi. Ormai la gente «ragiona», e si guarda attorno, attraverso la lente interattiva dei computer, degli iPad e dei telefonini intelligenti. Tutti si stanno abituando alla propria «vetrina» personale sconfinata, docile ai comandi delle dita che sfiorano i tasti, e persino alla propria voce che colloquia con il cellulare, per avere risposte su tutto. E’ a questo nuovo abito mentale che pensano gli strateghi del marketing impegnati nella creazione del retail del terzo millennio. La passeggiata da «window shopping» (il curiosare nelle vetrine) lungo il corso principale e il contatto umano con il commesso che sorride e s’inchina non spariranno ma diventeranno «il piacere di una volta». Un po’ come scrivere una lettera a mano invece che spedire l’email. Ma il trend, il business, i profitti di domani devono tenere conto dell’uomo digitale. «Il ruolo del negozio sta mutando, chi compra entra con un diverso bagaglio di aspettative», ha detto al «Wall Street Journal» John Ross, presidente di Shoppers Sciences (società del gruppo Ipg) ed ex capo marketing della catena Home Depot. Abituato a soddisfare le sue curiosità sull’iPhone, perché il cliente non dovrebbe sapere all’istante, davanti a una vetrina, se la giacca esposta è di lino o di lana, se dentro c’è pure della sua misura, se è disponibile in marrone, e a quali pantaloni si accompagna meglio? E’ quello che offre la catena J.C. Penney con il suo «FindMore» (Trova Altro), un video da 52 pollici touch screen che consente ai clienti non solo di navigare nella ampia gamma di merce del negozio, ma anche di mandare informazioni su un certo prodotto via email a se stessi, per memorizzarle, oppure a un amico per avere consiglio. The Limited, gruppo che ha tra altri brand Victoria Secret, sta pensando di installare vetrine interattive simili nei prossimi sei mesi. Una realtà è già anche «lo specchio delle mie brame» negli spogliatoi di prova, dove si correggono i capi secondo esigenza e gusto propri. Sulla via della robotizzazione del personale, si sperimentano nuovi chioschi informativi dove si interrogano commessi virtuali. Freddi magari nelle risposte, ma impeccabili e mai maleducati. La rivoluzione dei negozi è in pieno svolgimento, e non solo nella moda. Stop & Shop Supermarket sta sperimentando in 289 suoi punti vendita dei particolari strumenti manuali di lettura digitale, o scanners, che mostrano ai clienti sconti personalizzati mentre fanno shopping. Le offerte si basano su vari fattori, per esempio la storia degli acquisti del cliente o un oggetto appena comprato. E lo stesso scanner consente di ordinare una consegna a domicilio e di pagare più in fretta. Tecnologia fa rima con crescenti curiosità, ma anche con fidelizzazione. Una nuova applicazione chiamata ShopKick permette ai clienti iscritti al programma di guadagnare dei punti per il solo fatto di aver messo piede nel negozio, di aver esaminato con lo scanner un certo prodotto e di averlo provato. Tra le prime catene a sperimentarla c’è Best Buy (elettronica di consumo): mostrando al cassiere il codice a barre, si conoscono i punti accumulati che possono trasformarsi in somme di una speciale «moneta» chiamata KickBucks, che non sono spendibili solo in specifici negozi ma possono essere convertite in crediti su Facebook, in certi prodotti o in gift cards (carte di credito di ammontare definito che da tempo sono usate come regali), oppure devolute in beneficenza. GLAUCO MAGGI *** Luci, vetri, colori: le merci fanno spettacolo - Quello che noi solitamente intendiamo come negozio - vetrina, esposizione, spazio interno -, sino alla fine del Settecento non esisteva. C’era solo una sorta di angusta anticamera prima del deposito delle merci. Nessun arredo, mentre sull’esterno una grande insegna attirava l’attenzione dei clienti. Poi tra il XVII secolo e il XVIII si decise che questi cartelloni ostacolavano il traffico delle carrozze, e furono tolti. Werner Sombart, il celebre economista, ha sostenuto che la scomparsa delle insegne fu «uno dei passi carichi di conseguenze, dal variopinto mondo delle parole al grigio mondo dei numeri». Si sbagliava, poiché tra il XVIII e XIX secolo si è stabilito un legame decisivo tra estetica e commercio. Come ha raccontato Wolfgang Schivelbusch in «Luce. Storia dell’illuminazione artificiale nel secolo XIX», tolte le insegne, i negozi, frequentati dai nobili, furono arredati all’interno con lo stile di corte. Il vero cambiamento si ebbe solo con la nascita della vetrina per l’effetto combinato di due invenzioni: le grandi lastre di vetro e la luce artificiale; prima le vetrine erano poco più grandi di una finestrella e dentro era buio. Dal 1850 in poi, la produzione delle grandi superfici vetrate permise di realizzare il piccolo palcoscenico in cui, con l’aiuto della luminaria, era possibile contemplare le merci. Da allora il processo di «vetrinizzazione», come l’ha chiamato Vanni Codeluppi («Lo spettacolo della merce», Bompiani), è andato molto avanti e si è esteso all’intera società. I teatri di vendita hanno oggi dimensioni sempre più vaste: mercati, ipermercati, vere e proprie città. Negli shopping center, all’inizio degli anni Ottanta del XX secolo si è poi rovesciato il rapporto tra il dentro e il fuori: l’ipermercato è un luogo chiuso, una vera monade, priva di finestre, ma dotata di porte, soglia che induce a entrare e non a sostare. La vetrina è dentro, un ampio palcoscenico in cui il compratore è un attore dello spettacolo, insieme alle merci. Nel 1983 Rei Kawakubo, insieme a Yakao Kawasaki, progetta in America il negozio per Commes des Garçons dove non si espone più nulla: i vestiti sono presenti all’interno, e in modo molto discreto. L’idea gli proveniva dalla cultura tradizionale giapponese, dal suo minimalismo sposato con il nuovo lusso. Il negozio diviene come filtro: allestito non per attirare il consumatore, bensì per distogliere chi non lo è già, oppure non ha le sufficienti referenze per diventarlo. Un’idea elitaria che anticipava i tempi attuali. Nel decennio scorso il prototipo del negozio di moda è stata la galleria d’arte e il museo, seguendo un’evoluzione ulteriore in senso estetico. Gli esperti la chiamano «shopping experience»: il momento del consumo, come un’esperienza sensoriale, prevale sulla reale finalità dell’acquisto. Inoltre, si è arrivati alla costruzione di veri e propri edifici dedicati a una solo marca, i flagship store, edifici-insegna, come quello realizzato da Prada a Tokyo su progetto di Herzog & de Meuron: un involucro di cristallo, un alveare luminoso, che estende l’idea della trasparenza della vetrina su vasta scala e gioca. Ci sono anche altri esempi di forme complesse di negozio: i multibrand store. Corso Como 10 a Milano ne è un esempio: galleria d’arte, ristorante, bar, emporio del lusso, libreria di settore, bed & breakfast, il tutto allocato in un cortile interno di una casa di ringhiera. Qui l’esposizione è rilassata, fino a dare la sensazione di percorrere una casa e non un negozio: si entra in uno spazio amichevole e l’acquisto diventa una sorta di dono che si riceve. L’ultima tendenza poi è quella di trasformare il negozio in un’esperienza narrativa, raccontando con l’arredo e la disposizione, con gli oggetti e le forme, una storia di cui il cliente è parte. In duecento anni tutto è cambiato; il negozio attuale, che abbia o no la vetrina, corrisponde ora a quattro tipologie: XL, negozio su due livelli; L, su un livello solo con affaccio su strada; M, unico livello e un solo ingresso su strada; S, piccolo negozio in un altro negozio; XS, piccolo angolo dentro altra struttura commerciale. Tante taglie, un unico consumatore: noi. MARCO BELPOLITI