Ferdinando Camon, La Stampa 6/9/2010, pagina 1, 6 settembre 2010
La tragedia che non conta - Giornata tristissima per lo sport: a Misano durante il GP della Moto2, un pilota giapponese di 19 anni correva a 240 all’ora, la sua moto s’è intraversata, lui è balzato in aria, e quand’è caduto i due piloti che lo inseguivano gli sono finiti addosso e l’hanno travolto
La tragedia che non conta - Giornata tristissima per lo sport: a Misano durante il GP della Moto2, un pilota giapponese di 19 anni correva a 240 all’ora, la sua moto s’è intraversata, lui è balzato in aria, e quand’è caduto i due piloti che lo inseguivano gli sono finiti addosso e l’hanno travolto. Ferite multiple, elicottero fino all’ospedale più vicino, Cesena, da qui all’ospedale meglio attrezzato della zona, Riccione. Si temeva l’arresto cardiaco, e infatti il cuore s’è arrestato. Ma non stanno qui gli apici della tragedia. Non è per questo che ne parliamo. Alla tragedia sportiva, sempre possibile nelle gare dove per vincere bisogna oltrepassare i limiti di sicurezza, si aggiungono altre tragedie, che vorrei dire morali. Dopo la visione atrocemente spettacolare del multiplo incidente, con tre moto e tre piloti coinvolti, la gara è proseguita come se non fosse successo niente. Dunque quella tragedia «era» un niente. Per molti minuti il pilota-ragazzino è rimasto sospeso tra la vita e la morte, nel circuito le autorità sapevano tutto, ma nessuno ha pensato che quel tutto valesse qualcosa. Si trattava di una gara della Moto2, le gare che precedono la MotoGp sono sentite da tutti, organizzatori e spettatori, come una introduzione di scarsa importanza alla vera gara che riempie la giornata, la MotoGp. Qui, in MotoGp, corrono gli assi mondiali del motociclismo, così veloci che sembrano volare rasoterra. Il problema era: si poteva perdere tempo per la morte di un ragazzino, si poteva ritardare la partenza dell’unico vero grande spettacolo sportivo della domenica, il MotoGp? La riposta è stata: no. Non si dica: ma non sapevano ancora che il giovane pilota sarebbe morto, potevano pensare a ferite rimarginabili, concludere la gara di Gp col giovane pilota giapponese fuori pericolo era un bene per tutti, ritardare la gara non serviva a nessuno. Errore. Non è un ragionamento lecito. Perché la cronaca del Gp è proseguita in costante collegamento con la clinica dove il 19enne giapponese stava morendo, la notizia della sua morte è arrivata in diretta a tutti nel circuito (e a tutti noi, nelle case del mondo), e il coro dei cronisti è stato: «Non c’è niente da dire», «Non c’è niente da fare». E così tutto proseguiva come se niente fosse. Ma neanche questo è il vero acme dell’insensatezza di questa tragedia in diretta: perché quando la gara è finita, e i grandi campioni sfilavano uno alla volta davanti alle telecamere, strizzati nelle tute multicolori, tutti venivano informati, e tutti reagivano con: «Così è lo sport», «Non si poteva fermare la gara», «Sappiamo che la logica è questa» (quest’ultima risposta è del grande Valentino Rossi, il più amato dagli italiani). Sono parole di scarsa sensibilità? Provengono da un fondo morale dove mancano i valori? Ma no. I valori ci sono, e sono enormi. Valgono più della vita. Più della vita di tutti. Perché i grandi campioni che parlano così mettono in conto non solo che la vita dei concorrenti può essere stroncata di colpo, ma anche la propria: partono, e non sanno se arrivano. Se accettano che la loro vita finisca così, accettano anche che la gara non s’interrompa, che il palinsesto delle tv non venga modificato neanche di un minuto. Nei siti dei giornali, ieri, la tragedia ovviamente c’era, con tanto di filmato, ma prima e dopo c’erano l’ordine d’arrivo e la classifica mondiale, e queste notizie valgono più di quella. Chi vince resta, chi muore svanisce. Oggi tutti parlano della tragedia. Alla prossima gara non ne parlerà nessuno. E la prossima gara non avrà tanti spettatori come ieri, ma di più. Se lo spettacolo che vediamo conta più della vita, non possiamo perderlo.