MARCO ZATTERIN, La Stampa 5/9/2010, pagina 16-17, 5 settembre 2010
Belgio, fallito il compromesso per il governo (2 articoli) - Per la stampa popolare «il Belgio è all’inferno» e l’immagine del leader socialista Elio di Rupo, che venerdì ha rinunciato all’incarico di «preformatore» del governo, si accompagna sulle prime pagine con quella di Romelu Lukaku, stella della nazionale di calcio nerogiallorossa che nello stesso giorno ha perso in casa con la Germania per un errore banale, «il solito», precisano i commentatori sportivi
Belgio, fallito il compromesso per il governo (2 articoli) - Per la stampa popolare «il Belgio è all’inferno» e l’immagine del leader socialista Elio di Rupo, che venerdì ha rinunciato all’incarico di «preformatore» del governo, si accompagna sulle prime pagine con quella di Romelu Lukaku, stella della nazionale di calcio nerogiallorossa che nello stesso giorno ha perso in casa con la Germania per un errore banale, «il solito», precisano i commentatori sportivi. Tre mesi dopo le elezioni politiche, il «Paese piatto» non ha ancora un premier e dei ministri, intrappolato nella disputa fra valloni e fiamminghi. Ora la situazione è seria, come sempre; la novità è che si è fatta anche veramente grave. «E’ l’aria del Mare del Nord e l’assenza di montagne che non fa bene alla politica», ironizza a denti stretti un diplomatico bruxellese. Mettere insieme la crisi del Belgio, dove si è votato il 13 giugno, e quella dei Paesi Bassi, dove gli elettori si sono pronunciati quattro giorni prima, è facile e fuorviante. Gli elementi comuni sono la spugna gettata venerdì dopo lunghi tentativi da chi cercava di mettere insieme una maggioranza, e l’avanzata di un populismo distruttivo. Ma finisce qui. Gli olandesi hanno problemi di digestione, nel più liberale dei sistemi si sono indeboliti gli anticorpi della tolleranza. I belgi tremano per una febbre scissionista vecchia di mezzo secolo, fiamminghi contro valloni nonostante il federalismo, sull’orlo del divorzio dopo 180 anni di dura convivenza. Il tentativo dell’italobelga Di Rupo è durato 58 giorni. Il re Alberto II, arbitro del match politico, lo ha nominato «preformatore» il 9 luglio, considerandolo il rappresentante della famiglia, quella socialista, vincitrice alle elezioni. In realtà il più votato era stato Bart de Wever, leader del partito autonomista fiammingo N-Va, ma nel Paese dove tutto è doppio, la lingua come le compagini politiche, lo storico che vuole le Fiandre indipendenti si è trovato senza un omologo francofono e vallone, su cui Di Rupo invece poteva contare. Ha avuto l’incarico, lo ha affrontato senza mai risparmiare concessioni. Più dava e meno otteneva. Inutile andare oltre. Il leader socialista aveva in effetti accettato un ulteriore trasferimento di competenze federali, accogliendo anche la richiesta di parziale scissione del Welfare fra le due grandi regioni, Vallonia e Fiandre (la terza è la Grande Bruxelles). In nome del compromesso, s’era anche deciso ad abbandonare al loro destino i francofoni residenti in area fiamminga, chiudendo la disputa sui collegi elettorali Bhv (Bruxelles-Hal-VilVoorde), a patto che si garantisse qualche diritto a chi non parla il neerlandese. All’intransigente De Waver non è bastato. Lo scontro finale è stato per Bruxelles, la capitale desiderata dai fiamminghi, dove però sono una debolissima minoranza. Di Rupo chiedeva un ampio rifinanziamento delle casse ormai a secco della capitale (500 milioni, poi scesi a 250). Il N-Va ha detto che in nome del federalismo era ora di finirla coi soldi ai comuni della Eurocity. Il preformatore è tornato da Alberto II, ammettendo la sconfitta: «Spero che potremmo continuare a vivere insieme in pace». Il re ha ripreso le consultazioni, ma nessuno sa dove si va. E’ la sensazione che ritroviamo in Olanda, dove il leader populista e antislamico Geert Wilders è sceso dal treno delle trattative, dicendo di non voler avere a che fare coi cristiano democratici (Cda). Mark Rutte, guida dei liberali (Vvd) che hanno vinto le elezioni d’un seggio sui socialisti, ha dovuto arrendersi e rinunciare alla formula di centrodestra. Adesso l’impasse è totale, al punto che potrebbe tornare attuale una coalizione di centrosinistra, senza estremisti. Potrebbe essere la soluzione obbligata. Che poi porti alla stabilità, è tutt’altro discorso. Cronologia: 26/4/2010 Fine del governo L’esecutivo di Yves Leterme si dimette dopo che i liberali dell’Vld ritirano il sostegno alla coalizione sui fondi ai collegi elettorali di Bruxelles. 13/6/2010 Il Paese alle urne Le elezioni vengono vinte dai nazionalisti dell’N-Va nelle Fiandre e dai socialisti in Vallonia. 8/7/2010 L’incarico a Di Rupo Il leader socialista vallone (foto) viene nominato dal re «preformatore» del governo: deve trattare con sette formazioni politiche, quattro fiamminghe e tre francofone. 29/8/2010 Il primo fallimento Di Rupo rimette l’incarico, ma il sovrano non accetta le sue dimissioni. *** Persino negli immediati dintorni dell’elegante e algida Avenue Louise, nell’intreccio sghembo di vie che disegnano la disordinata mappa di Ixelles, capita di imbattersi in strade transennate, in cui l’accesso è riservato, e solo in parte, ai pedoni e ai residenti. La spiegazione è grosso modo a metà dell’isolato, nella buca al centro della carreggiata, nulla rispetto alle voragini napoletane, eppure tanto basta per costringere a deviare il traffico. La riparazione richiede giorni, il comune è a corto di uomini e il manto stradale è dissestato un po’ ovunque, scavato dai minidiluvi universali scatenatisi su Bruxelles nel corso dell’estate. Gli interventi sono lenti perché la capitale del Belgio è quasi senza fondi. Le scenette da ferragosto all’italiana si inseguono anche ora che settembre è arrivato e la riapertura delle scuole ha ripristinato il traffico abbondante che segnala «la normalità». Qui un’altra buca segnalata da una paletto fosforescente, lì un cantiere disabitato con tanto di scavatore ben parcheggiato e senza conducente, in mezzo asfalti sbriciolati che rivelano l’antico pavé e mettono a dura prova gli ammortizzatori delle automobili. La manutenzione ordinaria procede al rallentatore, gli amministratori spendono col lumicino. Il tentativo di formare un nuovo governo nazionale a tre mesi dalle elezioni è caduto proprio sul rifinanziamento di Bruxelles, questione di principio più che di cassa per un Paese dove la complessità è resa ordinaria amministrazione dalla conflittuale coabitazione di fiamminghi e valloni. Spiegare le dinamiche dei dissidi all’origine delle strade dissestate richiede un impegno contabile non indifferente. Si comincia dal Belgio diviso in tre comunità linguistiche (fiamminghi, valloni, tedeschi) e tre regioni (Fiandre, Vallonia, Bruxelles), amministrate secondo un modello strettamente federale. Si arriva alla capitale, storicamente divisa in 19 comuni più indipendenti di quanto non sia possibile capire venendo da fuori, con regole e abitudini diverse, le rotatorie che mutano precedenza a secondo della zona che si attraversa, o il parcheggio a pagamento che diventa gratis girando l’angolo. E viceversa. Lo schema federale prescrive che ogni identità abbia una imposizione propria, derivante dalle tasse di circolazione o dalle imposte sugli immobili, alle quali Bruxelles aggiunge una gabella regionale esclusiva. Lo Stato offre un contributo mettendo mano ai forzieri del Tesoro, ripartiti in base al numero dei residenti, come dire che il 63 per cento della torta va alle Fiandre, il 28 alla Vallonia, e il resto alla capitale, che incassa annualmente qualcosa come 300 milioni di euro. Questi finanziamenti sono da sempre oggetto di scontro politico. I fiamminghi ricordano che Bruxelles è loro perché si trova nelle Fiandre, mentre i valloni ribadiscono che, essendo la stragrande maggioranza dei residenti di lingua francese, gli argomenti dei cugini non tengono. Forse il Belgio sarebbe già a pezzi se gli autonomisti delle Fiandre rinunciassero alla capitale che - pur essendo una delle aree a più alta disoccupazione d’Europa - resta una vetrina formidabile per la presenza delle istituzioni europee. Nessuno molla. I fiamminghi sostengono che le 19 municipalità sono un pasticcio mal gestito, idea condivisa anche dalla Confindustria nazionale, che mercoledì ha invitato i comuni a fondersi per rendere la vita più facile a tutti. Gli autonomisti del partito fiammingo N-Va vorrebbero una gestione paritetica coi valloni, una «sfederalizzazione» che i francofoni non accettano. «Bruxelles va sostenuta perché ci lavora gente che abita e paga le tasse altrove», ha sottolineato l’aspirante premier Di Rupo, socialista dell’Hainaut. Metteteci anche il nodo dei tre collegi elettorali in terra fiamminga dove si vota per i francofoni - cosa che rende furiosi i politici delle Fiandre - e la maionese impazzisce all’istante. L’intesa manca e con lei i soldi. Le piccole buche di Ixelles e i lavori pubblici incompiuti, in fondo, sono il minore dei problemi.