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 2010  settembre 05 Domenica calendario

2 articoli - CASA FREUD 1 - Ho avuto a lungo un sogno ricorrente», confessa la scrittrice Esther Freud, figlia del grande pittore Lucian Freud, pronipote dell’ inventore della psicoanalisi, Sigmund Freud

2 articoli - CASA FREUD 1 - Ho avuto a lungo un sogno ricorrente», confessa la scrittrice Esther Freud, figlia del grande pittore Lucian Freud, pronipote dell’ inventore della psicoanalisi, Sigmund Freud. «Sognavo che cercavo una casa, la casa perfetta per me e per la mia famiglia. In sogno sapevo com’ era, come doveva essere fatta, questa casa, ma non riuscivo mai a trovarne una che le assomigliasse, che mi soddisfacesse. Ho smesso di fare quel sogno quattro anni fa, quando con mio marito e i nostri tre figli siamo venuti ad abitare qui. Dal momento in cui l’ ho trovata nella realtà, non ho più visto la casa nei sogni». (segue nelle pagine successive) (segue dalla copertina) Chissà cosa avrebbe commentato il suo celebre bisnonno, considerato che la casa in cui Esther ha traslocato, ad Highgate, è vicina a quella in cui visse il fondatore della psicoanalisi, ad Hampstead, ora diventata un museo. Una coincidenza? Non è lontana nemmeno la casa di Ernst Freud, uno dei figli di Sigmund, a St. John’ s Wood, e in fondo anche la casa-studio in cui abita il figlio di Ernst, il pittore Lucian, a Notting Hill, appartiene alla medesima zona di Londra: la parte settentrionale dell’ immensa metropoli, la più intellettuale, progressista, influenzatae attraversata nel tempo dalla presenza ebraica. Sigmund Freud arrivò a Londra da Vienna nel 1938, l’ anno in cui l’ Austria fu annessa al Terzo Reich, mentre nella Germania nazista esplodeva l’ antisemitismo, presagio dell’ Olocaustoe della Seconda guerra mondiale: sarebbe morto appena un anno più tardi, nella capitale britannica. Suo figlio Ernst Ludwig Freud era un affermato architetto a Berlino, quando nel 1933 sentì che l’ aria era pericolosamente cambiata e precedette il padre a Londra, dove ricominciò subito a lavorare con successo: fu lui a restaurare la casa di Hampstead in cui si trasferì Sigmund, quella che adesso è un museo. Ernst morì trent’ anni fa. In Germania gli erano nati tre figli, di cui due maschi, uno dei quali, Clement, deceduto a Londra lo scorso anno, è stato un uomo politico e notissimo commentatore radiofonico nel Regno Unito; l’ altro, Lucian, nato a Berlino nel 1922, immigrato in Inghilterra con i genitori quando era undicenne, è considerato uno dei maggiori pittori viventi. I suoi quadri di parenti, amici, personalità dello spettacolo, della moda, dell’ alta società, spesso ritratti nudi, distesi su un letto o su un divano, a tinte fosche, cariche di drammatico erotismo, sono un’ icona dell’ arte contemporanea. L’ erotismo che lo contraddistingue non si limita al suo atelier di artista, dove quando è al lavoro rimane chiuso per ore, giorni, indossando un lungo grembiule da macellaio macchiato di vernice, e talvolta poco altro sotto di quello. Lucian Freud ha pure fama di insaziabile dongiovanni, o predatore secondo i maligni. La leggenda afferma che ha avuto quaranta figli, all’ incirca da altrettante donne. Mesi fa lo incontrai a un party della Londra bene: c’ erano l’ attrice Christine Scott Thomas, il cantante Brian Eno, tanti vip, ma la vera star della serata era lui, che a ottantotto anni si aggirava silenzioso fra gli invitati, sguardo rapace, camicia di fuori e cravatta penzolante, seguito da una giovane donna che gli andava dietro come un cagnolino. «Quaranta figli?», sorride Esther, che è una di loro. Non pare imbarazzata, casomai divertita. «Non saprei il numero esatto. Di certo siamo tanti. Con molti mi sono incontrata, con alcuni abbiamo creato un bel rapporto. Ma sono consapevole che ve ne sono altri di cui nemmeno conosco l’ esistenza. Penso che ci incontreremo tutti soltanto dopo la morte di mio padre, davanti a un notaio, alla lettura del testamento». Esther Freud ha praticamente conosciuto suo padre soltanto dopo avere compiuto sedici anni. Sua madre ebbe una breve relazione con Lucian: «Non stavano già più insieme quando io sono nata», ricorda. «Da piccola andavo a trovarlo un paio di volte l’ anno. Ma solo quando sono cresciuta abbiamo cominciato a frequentarci regolarmente e a sviluppare un vero rapporto padre-figlia». I suoi due romanzi più famosi hanno una forte chiava autobiografica: Innamoramenti (pubblicato in Italia da Voland) è la storia di una sedicenne che impara a conoscere il padre; e Marrakech (di prossima uscita per la stessa casa editrice) è il ricordo del tumultuoso viaggio e delle impreviste avventure in Marocco, negli anni Sessanta dei figli dei fiori, di una bambina di cinque anni con la madre, proprio come accaddea lei da piccola. Un libro, quest’ ultimo, che in Gran Bretagna la fece entrare nella classifica dei «venti scrittori giovani più promettenti» stilata dalla rivista Granta. Nonostante i suoi successi nella narrativa e il matrimonio con un affermato attore inglese, David Morissey (l’ interprete di Basic Instinct 2 accantoa Sharon Stone), Estherè abituataa suscitare curiosità per il suo cognome. «Del mio bisnonno, naturalmente, ho solo sentito parlare», racconta. «E neanche molto. Mio padre aveva diciassette anni quando Sigmund Freud morì. Si ricorda del nonno, ma ne parla di rado. Dice che era buffo, divertente. Tirava i denti a lui e ai suoi fratelli, quando erano bambini, per gioco. Scherzava volentieri, almeno con loro. Non so quanto il nome Freud abbia pesato su mio padre, se e quanto si sia interrogato sul nonno. Una volta mi disse di avere scoperto un foglietto di carta, apparentemente nascosto in un vecchio tavolo che era stato nella casa di Sigmund e poi era finito nella sua. C’ era scarabocchiato qualcosa in tedesco, mio padre lo fece tradurre pensando che potesse contenere un messaggio, magari, fantasticava, le ultime parole di Freud sulla psicoanalisi. ENRICO FRANCESCHINI, la Repubblica 5/9/2010 CASA FREUD 2 - 1923 VIENNA IX, BERGGASSE 19 Caro Ernst, oggi t’ ho inviato 150 fl. (fiorini, ndt) per zia Mizzi da parte di Lessa & Kann. Sono contento che tu ti senta bene e sono convinto che la pausa lavorativa non ti nuocerà in alcun modo. Il matrimonio di Rosi col mutilato di guerra dott. Waldinger ha avuto luogo domenica in piena tranquillità. Poi da Anna c’ è stato un piccolo ritrovo di famiglia, molto piacevole. Da lì la giovane coppia è partita per Kehl, per visitare la madre della sposa. Non è che con questo matrimonio la nostra famiglia abbia guadagnato una testa di grado di contribuire al suo mantenimento. (segue nelle pagine successive) In realtà non crediamo alla possibilità di una visita a Vienna da parte di Oli e di Henni, anche se li vedremmo volentieri. Il mio viaggio per il matrimonio a Berlino è infatti molto incerto. Se devo ritagliarmi tre mesi di ferie, qui non posso perdere nemmeno un giorno per la carriera. A casa tutto bene. Anna è senz’ altro molto allegra, benché nel suo futuro non veda nulla di ciò che desidera. Heinele cresce bene, in generale ci si chiede se la scuola riuscirà a intontire anche questo bambino. Harry si sta riprendendo dall’ itterizia per un’ influenza. L’ ultima foto di Henni con Gabriel non era buona, mostra una decadenza dell’ arte di Oli. Quanto a Michael, in lui non c’ è ancora nulla di autentico. Per il resto Vienna è molto ripugnante. Cari saluti a te e, tramite te, a Lux Tuo padre dall’ aldilà: invece era solo una lista della spesa, o qualcosa del genere, senza importanza, e probabilmente nella fessura del tavolo ci si era ficcato per sbaglio». Lucian non ha nulla del nonno, secondo sua figlia. «Ne è l’ antitesi. Sigmund è lo scopritore dell’ inconscio, fruga nei significati reconditi dietro ogni nostra azione. Mio padre è l’ uomo più istintivo che io conosca. Per questo non si può criticare il suo comportamento privato, con le donne o con altri: tutto quello che fa, lo fa a pelle, di getto, con incredibile naturalezza. Mio padre non ha mai fatto analisi, non è mai stato da uno psicoterapeuta, non è il tipo». La sessualità, però, è stata un tema al centro degli studi di Freud edè un elemento cruciale anche dei quadri di Lucian. «È vero. Ma le confido un curioso aneddoto su mio padre. In uno solo dei miei romanzi ci sono pagine di sesso, che descrivono esplicitamente una coppia che fa l’ amore. Poiché il protagonista è un artista, lo diedi da leggere a mio padre, per sapere se il personaggio era realistico. Mi disse che l’ artista andava benissimo, ma che le scene di sesso, secondo lui, erano troppo esplicite, e non aggiungevano nulla alla storia. Suggerì di tagliarle». Esther è stata a casa di Sigmund Freud solo dopo che l’ edificio era diventato un museo. «La prima volta mi ha fatto un effetto strano. La sentivo estranea e familiare al tempo stesso. Non sono una che si sveglia al mattino pensando: mi chiamo Freud. Eppure, in quella casa, provai un brivido». Ernst Freud morì quando lei era una bambina di sette anni: «Credo di averlo visto in tutto un paio di volte il nonno. Più tardi visitai la nonna, nella casa di St. John’ s Wood, volevo sapere di più su di loro, e sul padre di Ernst, su Sigmund. Il genio, e la sregolatezza che spesso l’ accompagna, forse si sono tramandati saltando una generazione, nella nostra famiglia: da Sigmund a mio padre Lucian, saltando Ernst, che era un architetto stimatissimo ma una persona molto ordinata e regolare, proprio come me. Mio nonno avrebbe potuto essere un ottimo rabbino, se fosse stato religioso, senonché suo padre, Sigmund, aveva respinto totalmente la fede e la religiosità, e i figli sono cresciuti alla stessa maniera». Nella casa di Highgate, Esther apre un cassetto, estrae un vecchio quaderno: elenchi di nomi, appunti sparsi, il menù di una cena del 1928, vergati con bella calligrafia da suo nonno Ernst. Dalle pagine ingiallite salta fuori un foglietto piegato a metà: «Una lettera di Sigmund Freud a suo figlio Ernst, avevo dimenticato di averla, non so nemmeno cosa ci sia scritto, né ricordo come l’ ho avuta». Cerca di tradurre qualche parola, con il poco di tedesco che ha imparato: una lingua che ha voluto studiare, un legame anche quello con il bisnonno, con il passato. Alle sue spalle, appesa al muro, c’ è una grande fotografia: ritrae suo padre Lucian che sta facendo il ritratto a suo figlio Albie. In un angolo della foto si intravede un piede, una gamba: «È la mia, ero seduta per terra nello studio di papà, a Notting Hill, stavo leggendo l’ Hobbit a mio figlio, per distrarlo nella lunga seduta di posa». Si sofferma in silenzio a guardarla. È il ritratto di suo padre, grande pittore? O di suo padre che ritrae suo figlio, il più piccolo dei Freud, sebbene porti il cognome del padre? Oppure il vero soggetto dell’ immagine è quello fuori quadro, è quello che guarda non visto dall’ esterno, è lei, Esther Freud? «Forse è il ritratto di tutti e tre. Non capita spesso che più generazioni della nostra famiglia si ritrovino insieme, nella stessa casa». Casa Freud. La casa che Esther infine ha trovato, e che ha smesso di sognare. SIGMUND FREUD, La Repubblica 5/9/2010