OMERO CIAI, la Repubblica 4/9/2010, 4 settembre 2010
QUEI MESSAGGI DAL SOTTOSUOLO
«Cara moglie non so per quale ragione non sono ancora impazzito, dormiamo sul fango, qui intorno è tutto bagnato, non abbiamo magliette, solo pantaloni e stivali, è tutto buio, ho la gastrite, siamo stati quindici giorni mangiando un cucchiaino di tonno ogni quarantotto ore aggrappandoci alla vita, gli altri giorni solo acqua…». E un altro: «Non ti dirò bugie, qua sotto stiamo malissimo, è pieno d´acqua, sopra di noi la montagna si muove e se ci fosse un altro crollo non avremmo molto spazio dove scappare. Cerco di essere forte ma non è facile. Quando mi addormento a volte sogno di essere in un forno e quando mi risveglio mi ritrovo imprigionato in questa oscurità eterna che ogni giorno mi sfinisce. Sopravviverò per voi, fino alla fine, ma non raccontare nulla di tutto questo a nostra figlia».
Erano le prime, drammatiche lettere, che dall´inferno raggiungevano i familiari dei trentatré minatori sepolti a settecento metri sottoterra. Foglietti di carta stropicciati scritti in stampatello, al buio, da dita tremanti. Oggi, ad un mese dal crollo che li ha intrappolati in fondo alla galleria e a due settimane da quel foglietto che riemerse con la prima sonda dalle viscere della Terra («Estamos bien en el refugio los 33»), la situazione è un po´ migliorata. Le comunicazioni fra i minatori e i familiari si svolgono ancora per lettera, hanno parlato al telefono solo una volta e per pochi secondi, ma dai video che il governo distribuisce alle tv è evidente che stanno meglio. Hanno ricevuto magliette pulite e scarpe di gomma contro il fango, da giorni si alimentano bene e, con le torce a pile, hanno un po´ di luce. Dormono su delle brandine leggere che hanno ricevuto smontate a pezzetti e da rimontare.
Vicino all´ingresso della miniera, dove ci sono le sonde, da qualche giorno c´è un piccolo ufficio postale. Alla sera, prima del tramonto, una alla volta le famiglie vengono chiamate. Ricevono le lettere scritte quel giorno dai minatori e consegnano quelle che hanno scritto loro, che verranno spedite là sotto durante la notte. È un ciclo vitale. Alcuni minatori scrivono anche quattro o cinque lettere al giorno. Mantengono i contatti con tutti: mogli, figli, parenti vicini, parenti lontani. Nel weekend l´ufficio postale s´affolla, c´è la fila. Ieri Jessica Yañez ha ricevuto tre lettere dal marito Esteban Roca. Ma non erano per lei, Esteban le ha scritte per i loro tre figli, ormai grandi. Jessica è una delle mogli che non ha mai lasciato la miniera fin da quel drammatico 5 agosto. «Preferisco dormire qui, a casa non ci riesco», ci dice. Ha una piccola tenda dietro il prefabbricato che serve da refettorio e cucina. In quelle più grandi montate dall´esercito per i familiari cento metri più su non c´è mai andata. Jessica è la donna che ha ricevuto dal suo compagno la promessa di matrimonio nella prima lettera spedita da sottoterra: «Viviamo insieme da venticinque anni ma non ci siamo mai sposati in Chiesa perché non avevamo i soldi per la festa, il ricevimento…». E adesso?: «Speriamo», risponde Jessica. «Beh - prova a rincuorarla la sorella - Esteban ormai lo ha detto a tutto il mondo, mica può ripensarci, ci sarà tutta la stampa cilena al loro matrimonio quando risorgerà da là sotto». Qualche minatore è già un caso internazionale. Dopo Mario Sepulveda e Mario Gomez, i più anziani che hanno guidato il gruppo e hanno messo la faccia nei primi video girati sottoterra, ora tocca a Yonni, il bigamo. Tutta colpa di quel maledetto documento che i minatori hanno ricevuto dall´assicurazione. Per riscuotere i premi hanno firmato un facsimile dove hanno dovuto specificare a chi andava consegnato l´assegno. Per prendere quello di Yonni si sono presentate due donne: la moglie e l´amante. Una all´insaputa dell´altra. Ora tutte e due l´aspettano per suonargliele, quando sarà di nuovo libero. Insieme alle lettere dei familiari i minatori ricevono anche fotografie con dedica. Collabora la comunità dei fotografi. È una delle cose che i parenti chiedono più spesso. Le ragazze si fanno fotografare con i figli piccoli in braccio vicino alla miniera, prendono l´autobus, tornano a Copiapò, stampano la foto e ci scrivono sotto una dedica. Poi, il giorno dopo, tornano su e, grazie alla sonda, la buttano settecento metri sottoterra. Qualcuna ci aggiunge anche un braccialetto o un fiore. Un segno d´amore.
Con il trascorrere dei giorni l´area intorno alla miniera è stata riorganizzata. All´inizio era anarchia pura. Tutti parlavano con tutti. Ora intorno alle tende dei familiari c´è un posto di blocco come prima della zona dove ci sono le sonde, l´ufficio postale, e le macchine perforatrici. Autorizzati a parlare con i giornalisti sono solo il capo delle operazioni di soccorso e il ministro delle miniere. Ogni giorno conferenza stampa all´aperto, sempre puntuali, alle 13,15 ora locale. Ma avvicinare i familiari resta facilissimo, nessuno di loro rispetta le regole e vanno nella zona chiusa delle tende solo quando sono stanchi. Verso mezzogiorno mangiano tutti insieme sotto il prefabbricato accanto alla sala stampa, un tendone con cinque grossi tavoli. L´ultima parte della strada che sale verso l´imbocco della miniera è un reliquiario. Parenti e amici dei minatori lasciano messaggi sulle rocce. Prima le graffiavano, adesso si portano gessetti e spray per scrivere. «Ti aspettiamo». «Resisti». «Abbiamo fiducia in te». I ragazzini scrivono grandi fogli colorati che poi appendono sotto una bandiera del Cile e che iniziano con «Papito querido». Quasi per ogni minatore ci sono altarini improvvisati che cambiano e s´arricchiscono di giorno in giorno. Ci sono foto di loro più giovani, ricordi di quando erano ragazzi, immagini di feste, matrimoni. Una mamma ha appeso la foto del figlio in guantoni, quando provava a fare il pugile prima di diventare minatore.
È uno scenario che con il passare del tempo scatena anche paradossali invidie e gelosie. Molti qui sono convinti che le famiglie dei minatori diventeranno ricche grazie a questa tragedia, alle donazioni, alla solidarietà e alle esclusive stampa e tv quando i loro cari riemergeranno dalla miniera. E così spuntano cugini di terzo grado che nessuno in famiglia ha mai visto. O il figlio avuto da adolescente da un´altra donna, ormai grande e mai più incontrato. Chi sfiora la morte senza che questa se lo porti via, finisce per dover fare con largo anticipo i conti con il suo passato.
Ogni sera, quando scende il tramonto, il campo intorno alla miniera si svuota. Il freddo punge e s´accendono fuochi. Alcune mogli, le più anziane, come Lily e Jessica, restano insieme al turno dei tecnici che seguono lo scavo del tunnel. Domani è un altro giorno, arriva un´altra macchina perforatrice, la terza. Nuove speranze: facciamo più in fretta, raggiungiamoli prima. Magari in due o tre settimane e non a metà novembre come previsto in un primo momento. Chissà.