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 2010  settembre 06 Lunedì calendario

«TROPPI AVVOCATI» DAVIGO CONVINCE ALFANO

Alla fine l’applauso che gli imprenditori presenti a Cernobbio gli hanno tributato è stato inatteso e soprattutto lungo. Piercamillo Davigo, il dottor Sottile del pool di Mani Pulite, «la mente» che scriveva materialmente le rogatorie laddove Antonio Di Pietro era il braccio investigativo, oggi fa il consigliere di Cassazione a Roma dopo essere stato giudice di Corte d’appello a Milano. Al workshop Ambrosetti si è presentato, come fanno i guru dell’economia, con sei-tabelle-sei. Tema: le contraddizioni della giustizia in Italia. E i suoi numeri hanno fatto colpo sulla platea. Chi si aspettava un sanguinoso duello tra l’ex pubblico ministero che nei tempestosi anni 90 voleva «rivoltare l’Italia come un calzino» e il ministro del governo Berlusconi, Angelino Alfano, è rimasto deluso. Per qualche ora Villa d’Este, come per incanto, s’è trasformata nel laboratorio dell’Italia-che-vorremmo, un Paese dove i Davigo e gli Alfano, i Fassino e i Maroni, si confrontano pragmaticamente sulle soluzioni da dare agli annosi problemi della giustizia e della sicurezza. E magari alla fine scoprono che le cose che li vedono convergere sono decisamente superiori alle divergenze.


Il punto di partenza (comune) Davigo-Alfano è stato la valutazione di come nel Belpaese ci sia un’eccessiva domanda di intermediazione giudiziaria, non una bassa produttività dei magistrati. A farvi fronte ci sono 10 mila togati che nel loro lavoro di ogni giorno sono assediati da un esercito di oltre 200 mila avvocati. Anzi, una delle tabelle di Davigo certifica che per ogni giudice in carriera in Francia operano 7,1 avvocati e in Gran Bretagna 3,2, da noi la cifra-monstre è di 26,4. «Per questo — ha chiosato il magistrato — proporrei modestamente di portare il corso di laurea in Giurisprudenza a sei anni. In più al primo anno metterei l’esame di analisi matematica, in modo che qualche matricola possa rivedere in tempo la sua scelta e iscriversi a Ingegneria».

Perché, a giudizio di Davigo, con meno avvocati e più ingegneri l’Italia sarebbe messa meglio.

Dalle cifre al racconto. «Un giovane magistrato fresco di assegnazione scoprì di avere 800 processi pendenti. E si preoccupò. Passato qualche giorno ebbe modo di accertare che in realtà le cause sospese erano 15 mila e si rasserenò. Capì immediatamente che a quel punto il problema non era più suo». Poi per curiosità cercò di capire che tipologia di contenzioso fosse rimasto aperto e trovò, tra le altre, una causa di diffamazione intentata contro un incauto cittadino, reo di aver sostenuto che Enrico Toti non poteva trovarsi in prima linea. Essendo sfortunatamente privo di una gamba, Toti come avrebbe potuto esser destinato a un impiego così delicato? Da quel giorno il magistrato a chi si lamentava di aspettare il giudizio da sei mesi cominciò a rispondere così: «Mi sto occupando di Enrico Toti».

Contrariamente a quanto potessero preventivamente pensare gli ospiti di Ambrosetti, l’esposizione di Davigo non si è chiusa con la canonica richiesta di maggior investimenti pubblici. «Non c’è bisogno di nuovi fondi per la giustizia» ha scandito l’ex pm, facendo brillare gli occhi degli industriali presenti in sala sempre benevoli nei confronto di chi si propone di tagliare le spese. «Chiudiamo i tribunali con meno di dieci magistrati e autorizziamo un solo tribunale per ogni provincia» ha proposto il dottor Sottile, nella circostanza anche «economicamente corretto».

Accantonata 24 ore prima la querelle sul processo breve e visto il successo mietuto da Davigo, il ministro Alfano ha abilmente profuso ulteriori dosi di saggezza e pragmatismo. «Dobbiamo introdurre forme di conciliazione extragiudiziaria». I ricorsi contro la durata irragionevole dei processi crescono al ritmo del 40% e in un anno si finiscono per prescrivere 170 mila processi. Quasi 500 al giorno. Lotta dura, dunque, «contro i processi che pendono e che rendono». A chi? Agli avvocati, innanzitutto.