Francios de labarre, Gente, n. 34, 23 agosto 2010, pag. 39, 23 agosto 2010
LA MIA MISSIONE ERA FERIRE IL PAPA
Il 13 maggio 1981, in Piazza San Pietro a Roma, Mehmet Ali Agca, militante dell’estrema destra turca, spara a bruciapelo a papa Giovanni Paolo II, che riesce a salvarsi. Immediatamente arrestato, Agca passerà quasi vent’anni dietro le sbarre in Italia prima di essere trasferito nella prigione di massima sicurezza di Sincan, vivino ad Ankara. Una prigionia di quasi trent’anni, consacrata alla lettura di libri in italiano. Da allora, Ali Agca si considera il "secondo Messia". E ora che è uscito di prigione da sei mesi, prepara un grande libro di teologia e parla dell’attentato a Giovanni Paolo II come di un miracolo. Sta lavorando alla scrittura di una "Bibbia perfetta", reinterpretazione dei Vangeli. Solo lui sa chi si nasconde dietro al tentativo di assassinio del papa: la Bulgaria comunista, il Kgb, la mafia, tutte piste seguite senza soluzione. Ali Agca promette le verità in un libro che dovrebbe uscire tra tre mesi, i cui contenuti anticipa in questa intervista esclusiva realizzata a Istanbul.
Da sei mesi è un uomo libero. E’ uno choc dopo 30 anni di prigionia?
«Niente affatto. In pochissimo tempo mi sono adattato perfettamente alla società di oggi. Il mondo è rimasto più o meno uguale. Conduco un’esistenza normale, la mattina faccio jogging e lavoro molto al mio libro. Sono un uomo modesto ed è un grande sollievo condurre una vita semplice dopo questi anni passati all’inferno».
Come ha vissuto i due decenni di detenzione in Italia?
«Ho letto quasi 1.500 libri, dalla biologia all’astronomia, passando per le biografie di Stalin, Hitler, Napoleone, Churchill. Sempre in italiano».
Come la trattavano i detenuti?
«Ero rispettato da tutti. Mai il minimo insulto, il che può sembrare strano quando si è cercato di assassinare il papa in un Paese cattolico».
Durante il processo alcuni esperti hanno descritto il suo stato mentale. Secondo loro lei era sano di mente, equilibrato e dotato persino di una resistenza fuori dal comune.
«Sebbene sia modesto, devo dire la verità: potrei insegnare psicologia e psichiatria ad Harvard, Princeton, Stanford, Yale e Oxford. Se i professori di queste prestigiose università fossero davvero efficienti, avrebbero costruito una società migliore, non crede? Guardate cosa fanno delle loro conoscenze. Mettono la loro scienza al servizio della menzogna per fare pubblicità e vendere. Questo lavaggio del cervello dà forma a un mondo di robot. La società americana sta sprofondando. E’ in mano a psicopatici come quelli della chiesa di Scientology o della setta di Moon. Oggi 30 milioni di americani utilizzano il Prozac o prodotti simili».
Perchè ha tentato di assassinare Giovanni Paolo II nel 1981?
«All’origine di tutto c’è una lettera che ho scritto nel 1978, pubblicata dalla stampa turca il 27 novembre 1979. Una lettera un pò megalomane nella quale minacciavo il pontefice. Nel settembre 1980 un agente dei servizi segreti di un Paese straniero mi ha contattato a Zurigo. Sventolava la "mia" lettera, spiegandomi che si iscriveva in una storia vecchia di novecento anni. Lui e altri mi hanno indottrinato e convinto a mettere in atto quel progetto di attentato che mi presentavano come una missione storica».
A quel tempo, come si è spesso detto, lei era un mercenario?
«Assolutamente no! Non sono mai stato pagato. Ho sempre condotto un’esistenza modesta».
Come si guadagnava da vivere?
«Ero un avventuriero border line. Erano i miei amici a mantenermi».
I suoi amici erano i Lupi grigi. Lei apparteneva a quel movimento nazionalista di destra?
«Negli anni ’70 i comunisti turchi erano barbari pericolosi che veneravano Pol Pot, il cui regime ha massacrato la metà del suo popolo. Sì, ero in guerra contro i comunisti turchi. Mi sono schierato tra i ranghi della civiltà occidentale contro la barbarie comunista».
In nome di cosa un simpatizzante della causa occidentale avrebbe accettato di uccidere il papa?
«Non c’è mai stata volontà di uccidere. Non era nei piani. Da dove ero io, a pochi metri, sarebbe stato facile farlo fuori. L’intento era ferirlo».
Nel corso dell’istruttoria si dice siano state ipotizzate 128 tesi di attentao. Le più accreditate sono la mafia turca, i servizi bulgari, il Kgb, la Cia, il Vaticano, la loggia P2 e cosa nostra. Tra tutte queste esiste una sola versione reale?
«Tutti potevano essere sospettati di implicazione nella vicenda, perchè tutti ne hanno avuto a che fare, da vicino o da lontano, prima o dopo l’attentato. Sì, una verità esiste. Una sola. E’ la volontà di uno Stato. Ne fornirò la prova scritta. Ma c’è anche una volontà divina».
Se non si tratta di soldi, che cosa le hanno promesso i mandanti dell’attentato?
«Il loro governo mi ha promesso la libertà dopo qualche anno di prigione. Anche se alla fine le cose non sono andate così, non sono stato deluso».
Nessun rimpianto?
«No. Avrebbe voluto dire tradire una volontà divina. Quel papa assolutamente innocente era una vittima necessaria. Io non ho fatto che il mio dovere».
Tuttavia, per passare all’azione doveva nutrire un certo sentimento di odio per lui...
«Niente affatto. Provavo simpatia per lui. Basta vederlo in foto: come non amarlo?».
Allora perchè ucciderlo?
«Sapevo che non sarebbe morto. Dovevo solamente ferirlo. E’ ciò a cui pensavo un’ora prima di sparare: non bisognava ucciderlo».
Dopo l’attentato ha iniziato ad amarlo?
«Ho studiato i suoi discorsi. Ho scoperto che aveva abbracciato tutte le religioni del mondo, che era contro la guerra e nel campo della democrazia contro i sistemi totalitari. In un mondo selvaggio, pieno di odio e di rancore, predicava il perdono. Quel papa era la stella polare di un’umanità sprofondata in un mondo di tenebre, la persona più ammirevole del XX secolo».
Pensa che debba essere canonizzato?
«Lo è già. Non c’è bisogno di un intervento burocratico del Vaticano. E’ già un santo. Io lo faccio santo».
Che cosa ha provato quando Giovanni Poalo II le ha fatto visita in prigione nel dicembre del 1983?
«E’ stato un momento meraviglioso. Ricordo la fiducia che mi ha accordato. Eravamo come vecchi amici».
Che cosa vi siete detti?
«Gli ho spiegato che mi dispiaceva avergli causato tanto dolore. Poi il papa aveva un segreto da dirmi. Credeva che tutto l’accaduto rientrasse in un piano divino».
Com’è finito l’incontro?
«Mi ha regalato una medaglietta della Madonna di Fatima che ho perso quando mi hanno trasferito di prigione».
Si è convertito al cattolicesimo da allora?
«No. Da 30 anni dicono che sono cattolico, ma appartengo solo alla religione universale che predica l’unicità e l’unità di Dio per l’eternità. Credo in Dio. Ho lettl la Bibbia per la prima volta negli anni ’90 anche se non avevo le conoscenze per capirla. L’ho riletta 100 volte per capirne il senso, cinque anni fa».
Durante il processo del 1985 lei proclamò di essere l’incarnazione del Cristo. Era una provocazione?
«No, la verità. Quell’attentato è un miracolo. Perchè il papa sarebbe venuto a trovarmi? Perchè nel 2000 ha rivelato che l’attentato era il terzo segreto di Fatima? Sono il personaggio principale di uno dei più garndi segreti del cristianesimo. Sono al centro di un piano divino».
Non teme di essere preso per pazzo?
«Lo si diceva anche di Cristo, a suo tempo».