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 2010  settembre 05 Domenica calendario

«NOI FINLANDESI NON AMMIRIAMO I FURBI»

Helsinki — Nella classifica compilata pochi giorni fa dal settimanale americano Newsweek, il Paese dove si vive meglio al mondo è la Finlandia; ed è anche, in assoluto, il meno corrotto. C’è un segreto, presidente Tarja Halonen? Sorriso: «Beh, mica siamo dei santi, noi finlandesi. E quanto al primato della trasparenza nella pubblica amministrazione, io rispondo sempre: "Certo, fino ad oggi. Fino ad oggi". Ma una cosa sì, bisogna dirla: da noi non si pensa mai, mai, che chi ruba sia un furbo, uno in gamba. Né tanto meno lo si ammira. Forse in qualche altro Paese è così. Ma per noi, chi ruba è un ladro. Punto».

Chissà se qualcuno le chiederà la stessa ricetta, da domani in poi, durante la sua visita ufficiale di 3 giorni a Roma, Pisa e Lucca: presidente della repubblica finlandese al suo secondo mandato, laurea in Legge e studi giovanili anche in Italia, sposata, figlia di un operaio e di una sindacalista, Tarja Halonen viene da una nazione dove anche il capo del governo, e 11 ministri su 20, sono donne. In un salottino accanto al suo studio, nel palazzo presidenziale di Helsinki, vi sono tanti ritratti di donne — le mogli dei vari presidenti del passato — e il ritratto recente di un signore con il pizzetto: suo marito. C’entrerà un po’ anche il «fattore femminile», con i record di buona amministrazione della Finlandia? «Veramente, davanti a quella classifica di Newsweek, qualcuno da noi ha scherzato: "La Finlandia è prima? Davvero il mondo è conciato così male?". A parte le battute, e a parte la prevalenza di questo o quel sesso, ci sono però diverse spiegazioni possibili. Una è quella che si diceva prima: i ladri non sono ammirati. Poi, i finlandesi credono che si debbano tener sempre gli occhi aperti sulle finanze pubbliche, la politica, gli affari: ognuno accetta che la società controlli come lui, o lei, porta a casa i suoi soldi. E infine, è importante che i dipendenti statali siano pagati decentemente».

A proposito di paghe: le donne, che da voi votano fin dal 1906, hanno però — in media — salari più bassi degli uomini...

«Sì. Per due ragioni. Primo, hanno una migliore istruzione e scelgono spesso lavori meno pagati: medicina, insegnamento... E inoltre, ha il suo peso la combinazione fra lavoro e impegni familiari. Ma stiamo cercando di cambiare tutto ciò. E la società cambia con il tempo, anche lei: sempre più uomini giovani sono interessati a diventare padri, e meno ossessionati dalla carriera».

Veniamo a questa visita in Italia. Lei incontrerà fra gli altri il presidente Giorgio Napolitano e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: temi in agenda?

«I nostri due Paesi sono buoni amici, dunque nessun problema particolare nei nostri rapporti bilaterali: ma questi si possono sempre migliorare. E ci sono dei problemi comuni a tutti gli Stati europei, da affrontare globalmente, come quelli della libera circolazione nell’area comunitaria, e dell’immigrazione da altri continenti. Penso che parleremo anche di questi».

O di Muammar Gheddafi, che si offre di fermare i migranti dall’Africa, e per questo chiede all’Europa 5 miliardi all’anno se non vuol diventare «nera»: che ne pensa?

«Penso che, sull’Europa, il signor Gheddafi dovrebbe leggere un tantino di più. Quanto all’immigrazione, noi non vogliamo che l’Europa diventi una fortezza, ma che resti un’area di libera circolazione delle persone partite alla ricerca di una vita migliore, un’area di libera competizione fra i capitali. Poi, naturalmente, c’è l’esigenza di controllare certi traffici di natura ben diversa. Tutti insieme, la Ue e le nazioni alle sue frontiere, dovranno vagliare i motivi reali per cui i migranti lasciano i loro Paesi, e decidere di conseguenza».

La Turchia nella Ue: siete ancora favorevoli?

«Sì. È una strada difficile, sassosa: ma è l’unica strada da percorrere. Sempre che la Turchia, naturalmente, adempia ai criteri già definiti a suo tempo».

Francia e Belgio hanno proibito il burka, il velo integrale delle donne musulmane. Lo farà anche la Finlandia?

«Da noi, non è un problema particolare. Per adesso non si pone. Certo, in ogni Paese è normale che le autorità debbano essere in grado di identificare le persone. Ma forse, più ancora che preoccuparci di questo, dovremmo chiederci che cosa renda l’universo esterno così pericoloso o minaccioso agli occhi di queste donne. L’integrazione completa in un mondo moderno e trasparente è molto difficile. Anzi: è la sfida più difficile e grande, per tutti. Ma proprio per questo, val la pena di accettarla».