ELENA LOEWENTHAL lastampa.it 25/08/2010, 25 agosto 2010
IL SENTIERO DEI DOGANIERI
Roquebrune-Cap-Martin
Ci sono molti modi per segnare i confini. Sulla macerie della dogana di Garavan, a una manciata di chilometri da Ventimiglia e a pochi passi da Mentone, qualcuno ha scritto con un tratto incerto di bomboletta: «NO BORDER NO NATION». Quasi un tributo al vecchio posto di frontiera, dove fino a qualche anno fa (ma sembrano trascorse ere geologiche) un ambizioso edificio in stile Palazzo a Vela di Torino e svariati punti di sosta - polizia, finanza, italiani e francesi - marcavano il passaggio da un Paese all’altro. Era un rito, varcare la frontiera, con tutta la solennità e la trepidazione del caso: dopo l’ultima richiesta di documenti, carte verdi, i bagagliai aperti e gli sguardi sospettosi, pareva tutto diverso, persino il colore dell’aria. «No border no nation» suona persino ironico, in un mondo come il nostro dove il primo dettato è quello di abbatterli, i confini. Pensare che da queste parti si deve proprio alla Rivoluzione francese uno sguardo tutto particolare a quella linea, reale e immaginaria, che separa il Paese della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità dal resto del mondo. Fu nel 1791, infatti, che l’amministrazione delle Dogane francesi decise di tracciare dei sentieri litorali per sorvegliare le coste, scoraggiare i contrabbandieri e respingere gli intrusi. Di «sentier des douaniers» ne esistono due. Uno, che forse è più conosciuto, certo più battuto, sta a Nord, sull’Atlantico, nella fredda e sorprendente Bretagna. Ma il mare segna anche e soprattutto il Midi, con la sua costa movimentata e quasi ovunque popolosa. L’originario sentier des douaniers, detto anche chemin du littoral, copriva la bellezza di 868 chilometri, da Mentone sino a Saintes-Maries-de-la-Mer, il cuore della Camargue. Mi piace immaginare pigre pattuglie di gendarmi che passeggiano su e giù, senza troppa intraprendenza. Il Midi concilia la serenità, difficile diventare rabbiosi e prepotenti, da queste parti.
Oggi naturalmente il sentiero non c’è più. O meglio, non c’è più in tutta la sua accondiscendente estensione, su e giù per insenature, colline, macchie impenetrabili di vegetazione, spiagge, spunzoni di roccia. Oggi ci sono strade e ferrovie, c’è la guardia costiera, c’è una sequenza di abitati che allora non esistevano e nemmeno s’immaginavano. Anche se qua e là - come ad esempio in quella baia di Eze che si apre all’improvviso dopo una galleria di pietra, e dietro la spiaggia ci sono i pini invece delle case - pare di vederla com’era allora, la Costa Azzurra. Prima che diventasse azzurra e prima che inventassero il turismo.
Il sentiero dei doganieri non ha più continuità, ma esiste ancora. Eccome. Niente più divise inamidate che lo solcano in cerca di malintenzionati, però. La mattina presto e dopo il tramonto, ci trovi gli amanti del jogging. Nel pomeriggio, seduta sull’ultima panchina prima di arrivare alla punta di Cap Martin dal versante occidentale, c’è un’attempata signora che sferruzza, protetta da un cappello bianco a larghe falde. E là dove il sentiero è addossato alla roccia perché non c’è appiglio - così la municipalità di Roquebrune l’ha trasformato in una specie di passerella a liste metalliche - una ragazza con la coda di cavallo legge intensamente, le gambe penzoloni sull’acqua.
Il tratto di sentiero che costeggia Cap Martin e arriva sino a Montecarlo è uno dei più belli. Un po’ perché il cammino è rimasto intatto, un po’ per la varietà del paesaggio che ti regala. Cap Martin è una selva di alberi d’alto fusto intercalati da macchia mediterranea. Le case quasi non si vedono, eppure ce ne sono di strabilianti. Alcune tra le più belle (e più care) ville del mondo. D’estate l’unica cosa che disturba è il viavai di elicotteri, talvolta, perché chi abita in case così non usa banalmente la terra ma l’aria - o l’acqua - per spostarsi. Al Grand Hotel del Capo soggiornò a lungo la principessa Sissi, ma allora di ville non ce n’erano quasi, di elicotteri neanche a parlarne e nulla interrompeva il frinio delle cicale, che sono il simbolo di questa regione e a volte diventano veramente assordanti.
Il sentiero corre, o per meglio dire si snoda tranquillamente, sempre diverso: a tratti sei sommerso dal verde, a tratti il paesaggio si apre e riesci a vedere la rocca di Monaco, l’imboccatura del porto - ma tutto il Principato di qui sembra astratto, remoto. Il mare, sotto, è bellissimo. Verde trasparente, blu intenso. L’amministrazione ha asfaltato parti del sentiero, per renderlo più agevole, ma qua e là le pietre antiche sbucano dal suolo. Ogni tanto la strada si biforca, s’apre un bivio verso la discesa a mare o sotto la ferrovia. Poco prima della stazione di Roquebrune, quasi a punta Cabbé, c’è un edificio strepitoso, un po’ palazzo e un po’ set cinematografico. Non per niente è stato la casa di Dino de Laurentiis, ci ha abitato anche Silvana Mangano. Ci sono leoni e altri animali di pietra, una piscina dalla forma lasciva, un parco che s’affaccia sulla spiaggia. È in annosa (e apparentemente immobile) ristrutturazione. C’è il ficus più grande che io abbia mai visto, sembra uscito da una fiaba, ed è scortato da due imponenti eucalipti albini. La villa non ha nessun ritegno, nessuna ambizione di nascondersi al passante sul sentiero - quasi si ostenta. Pensare che a pochi passi di lì ce n’è un’altra. Ma molto diversa.
«Ho un castello sulla Costa. È grande dieci metri quadri», diceva fiero Charles-Edouard Jeanneret, alias Le Corbusier, che qui è morto nuotando in mare nel 1965, a 77 anni. Il suo Cabanon non è soltanto una residenza di dieci metri quadrati (3,66 metri per 3,66 metri, 2,26 di altezza, il tutto concepito secondo modulor, la misura armonica alla scala umana), è anche e soprattutto un caposaldo dell’architettura contemporanea, dove il legno - pino all’esterno e quercia all’interno - avvolge lo spazio e lo fa respirare insieme al mare, all’aria lucida di questo posto. Dentro quei dieci metri quadri, visitabili su appuntamento presso l’ufficio del turismo, c’è tutto, incorporato nei muri. Manca la cucina perché Le Corbusier mangiava al ristorante accanto. «A un uomo in vacanza», diceva, «non serve molto più di un letto, servizi, un tetto e la vista del sole che risplende sul mare». E chi può dargli torto. Adesso quel tratto di sentier des douaniers porta il suo nome, com’è giusto che sia. E c’è quasi da giurare che, sepolto com’è nel cimitero di Roquebrune, la cui rocca medievale s’intravede anche di qui sotto tra un’ansa e l’altra del sentiero, Le Corbusier si senta in vacanza anche da là dove si trova adesso e per sempre.