Sissi Bellomo per "il Sole 24 Ore", 5 settembre 2010
CODA IN CINA
Anche se l’estate volge al termine, il controesodo - come lo chiamiamo in Italia - non c’entra affatto. I cinesi, di nuovo tutti in coda sull’autostrada, non stanno rientrando dalle vacanze. E pagherebbero oro pur di trovarsi incolonnati per qualche ora tra Roncobilaccio e Barberino del Mugello.
Nel gigante asiatico anche gli ingorghi sono in proporzione. Qui i veicoli formano colonne di 120 chilometri. E per giorni e giorni non riescono ad avanzare se non di pochi centimetri all’ora. Sta succedendo di nuovo, sull’Autostrada 110, quella che collega Hohhot, capoluogo della Mongolia interna, con la capitale Pechino, passando per la provincia di Hebei: la stessa arteria che appena una settimana fa la polizia stradale cinese aveva annunciato di aver finalmente liberato, dopo un ingorgo mostruoso che l’aveva bloccata per quasi un mese, costringendo i malcapitati che la percorrevano a impiegare fino a una settimana per coprire una distanza che in teoria richiederebbe un’oretta di viaggio.
La coda più lunga della storia, come l’avevano definita i giornali di tutto il mondo, in realtà non è mai davvero finita. E qualcuno ritiene che non finirà prima del 2012, anno in cui il governo cinese prevede di completare due linee ferroviarie, affiancate all’autostrada.
La supercoda cinese non è infatti una coda normale, da risolvere con le partenze intelligenti e con l’orecchio teso ai comunicati di Onda verde.
È una coda senza automobilisti. Solo camion. Camion carichi di carbone. Ieri, secondo i servizi della televisione cinese Cctv, ce n’erano almeno 10mila, uno dietro l’altro, fermi sull’asfalto «come in un immenso parcheggio ». La geografia mineraria del paese sta cambiando, per adattarsi alle nuove direttive di Pechino, tese a rendere più efficiente e sicura l’industria estrattiva, dove opera una miriade di piccole miniere, spesso poco redditizie e quasi sempre molto inquinanti e rischiose (ancora oggi, benché il numero di vittime sia sceso drasticamente, in Cina muoiono in media 7 minatori al giorno).
Qualcosa, tuttavia, dev’essere sfuggito alla minuziosa programmazione dei governanti cinesi. Perché la provincia della Mongolia Interna è emersa improvvisamente come una delle aree più prolifiche di carbone, oscurando i fornitori tradizionali, come lo Shanxi: l’anno scorso la sua produzione è salita del 37% a 637 milioni di tonnellate e quest’anno ci si aspetta un ulteriore incremento del 15 per cento. Un bel problema, in un paese che funziona quasi esclusivamente grazie a questo combustibile e la cui economia corre da decenni con ritmi di crescita a due cifre.
La Cina è il primo produttore di carbone al mondo, con oltre 3 miliardi di tonnellate l’anno. Ma i suoi consumi stanno crescendo così tanto che il paese è costretto a importarne quantità sempre più ingenti: nel 2009 l’import è salito del 212% a 125,8 milioni di tonnellate. Il motivo è semplice: il carbone ancora oggi soddisfa il 70% del fabbisogno energetico del paese, che nell’ultimo decennio ha raddoppiato la produzione di elettricità e di recente, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, è diventato il primo consumatore di energia al mondo, scavalcando persino gli Stati Uniti.
Il sistema dei trasporti, evidentemente, non è riuscito a tenere il passo. Eppure, anche la rete autostradale sta crescendo a ritmi impressionanti: oggi si estende per 85mila chilometri, di cui 5mila costruiti nel corso del 2009, e i piani del governo prevedono di superare i 100mila chilometri entro il 2020, più o meno come le highways statunitensi.
Peccato che già oggi in Cina si vendano più auto che negli Usa: il sorpasso è avvenuto l’anno scorso, con 13,6 milioni di veicoli immatricolati, rispetto ai 9,4 milioni del 2008. Nella capitale, Pechino, ogni giorno dai concessionari escono 2mila autombili nuove di zecca. Per la città circolano già 4,5 milioni di vetture, che se continuano a moltiplicarsi a questi ritmi potrebbero diventare 7 milioni nel 2015. Ma le strade secondo gli esperti riuscirebbero a contenerne non più di 6,7 milioni.