Chevalier Tracy, Corriere della Sera, 2 settembre 2010, 2 settembre 2010
LA GESTAZIONE DI “LA RAGAZZA CON L’ ORECCHINO DI PERLA”
Una mattina ho avuto un’ idea che ha cambiato la mia vita. Ero sdraiata sul letto e stavo guardando un poster appeso nella mia camera. Era «La ragazza con l’ orecchino di perla», il quadro del pittore olandese del Seicento Johannes Vermeer. Avevo comprato il poster anni prima, quando avevo 19 anni, e da allora me l’ero portato dietro in tutti i posti in cui avevo abitato. Il quadro mi aveva inizialmente affascinato per la splendida luce sul volto della ragazza, il bel copricapo blu e giallo e gli occhi spalancati che mi seguivano per tutta la stanza. Nel corso degli anni, però, quel che mi aveva colpito ancor di più era l’ aspetto ambiguo del viso. L’espressione sembrava contraddittoria: innocente eppure vissuta, gioiosa ma allo stesso tempo spaventata, piena di attese ma anche di frustrazioni. Vermeer era riuscito a catturare quella giovane in preda a tante emozioni, ma non riuscivo a capire che cosa stesse pensando, e questa indecifrabilità mi sconcertava. Quella mattina, però, ho avuto un’ intuizione: forse stava pensando al pittore. Che cosa le aveva fatto Vermeer perché lo guardasse in quel modo? Improvvisamente il soggetto del quadro si era mutato dal ritratto di una ragazza a quello di un rapporto tra artista e modella. Doveva esserci una storia dietro quello sguardo. Non era però una storia che si potesse trovare negli archivi o nelle biografie. Di lei non sappiamo nulla. Poteva essere stata chiunque - una figlia, una vicina, una bottegaia. Se volevo scoprire la storia, dovevo inventarla. Nonostante la sua semplicità, il quadro mostrava gli indizi di forti tensioni latenti. Oltre alle emozioni contrastanti sul viso della ragazza, vi sono anche curiose contraddizioni nel modo in cui viene presentata. Ad esempio, i grandi occhi sembrano innocenti, ma la bocca è aperta, e questo nella pittura olandese dell’ epoca indicava disponibilità sessuale. Alcuni hanno ipotizzato che la ragazza fosse la figlia maggiore di Vermeer, ma mi è difficile credere che un padre rappresenti la figlia in atteggiamento così erotico. I suoi vestiti, poi, sono strani. Molte delle modelle di Vermeer indossavano gli abiti della moglie Catharina; nei quadri troviamo diverse donne con un mantello giallo orlato di pelliccia, una veste blu, un corpetto giallo e nero. Questa ragazza porta però abiti semplici, quasi trasandati, fatta eccezione per la magnifica perla. I vestiti dovevano essere i suoi, ma l’ orecchino era probabilmente di Catharina. La mia storia è nata da questi pensieri. Vermeer doveva conoscere bene quella ragazza, il modo intimo in cui è rappresentata mi fa pensare a una prossimità fisica con il pittore. Non doveva essere una figlia, però. Chi altro avrebbe potuto esserci in casa? Una domestica. Per dipingere quel volto pieno di sentimento, Vermeer doveva aver trascorso mesi con lei nello studio. Che cosa doveva aver provato la moglie, perennemente incinta e quindi spesso stanca, goffa e ansiosa, sapendo che il marito si appartava per tanto tempo con una bella ragazza che portava i suoi orecchini? Il dramma di questa situazione domestica era evidente e irresistibile. Tutto quello che dovevo fare era delineare le personalità dei protagonisti. La ragazza sentivo di conoscerla bene - il suo volto brilla di intelligenza e perspicacia, e somiglia poco a quello che ci aspetteremmo di trovare in una domestica. Ho concluso che dovesse provenire da una famiglia recentemente impoveritasi e che possedesse un senso estetico che aveva solo bisogno di essere incoraggiato per svilupparsi. Vermeer era più difficile da descrivere. Ed ero anche riluttante a dargli connotati precisi: nel romanzo rimane infatti il centro misterioso attorno a cui ruotano le donne della casa. Nel poco che sapevo di lui c’era una contraddizione, e su questa ho costruito il personaggio. Sappiamo che aveva 11 figli: una grande famiglia, inevitabilmente rumorosa e caotica. Eppure, i suoi dipinti sono molto tranquilli. Contengono pochi bambini e pochi personaggi maschili. Per un artista, produrre opere di carattere così diverso dalla sua vita quotidiana doveva dipendere dalla scelta inderogabile di porre l’arte al di sopra di ogni cosa, di pretendere un proprio spazio e di separare il lavoro dalla famiglia. «Questo è il mio studio», immagino dica. «Non devono entrarci i bambini, né mia moglie, né altri - a parte la cameriera, per pulire». Per me è l’ eccezione costituita dalla presenza di quella cameriera a creare la vicenda. Individuati i contorni della storia e dei personaggi, ho iniziato a fare ricerche su Vermeer e sul suo ambiente. Ho letto molto su di lui e sul suo tempo, ma ho trovato che le migliori fonti di storia sociale fossero i quadri olandesi di vita quotidiana dell’ epoca. Se volevo vedere com’ era un mercato del pesce, quel che indossavano i bambini o come erano arredate le stanze di una casa, trovavo le risposte nei quadri. Ho anche trascorso alcuni giorni a Delft, una città olandese ben conservata, con canali e ponti, case con i tetti aguzzi, porte cittadine, e la piazza del mercato con una rosa dei venti a otto punte nel mezzo. Non mi è stato difficile tornare indietro di 340 anni. Quando ho cominciato a scrivere, il libro si è dipanato più facilmente di qualsiasi altra cosa che abbia mai scritto. Nell’immaginare questo romanzo non sapevo che nel mondo ci fossero tanti appassionati di Vermeer. Era, naturalmente, un artista ben noto: nel 1996 una importante mostra delle sue opere, sia a Washington che all’ Aia, ne aveva confermato la reputazione di grande pittore. Non mi ero però resa conto di quanto la gente si appassionasse ai suoi quadri - un sentimento di cui raramente si sente parlare a proposito delle opere di altri maestri come Raffaello, Rembrandt, Caravaggio. La gente dimostra inoltre un particolare entusiasmo per «La ragazza con l’ orecchino di perla». È uno di quei dipinti che sembra essere entrato nell’ inconscio collettivo, come la Gioconda. (Non sorprende che il quadro di Vermeer sia chiamato la Gioconda del Nord). I lettori mi dicono di essere cresciuti con una sua riproduzione attaccata al frigorifero in cucina, o l’ hanno vista appesa nello studio del dentista o in un’ aula scolastica. Trovano che la ragazza del quadro assomigli alla loro madre, alla sorella, a una zia, o a loro stessi; mi mandano loro foto in abbigliamento simile al suo per dimostrarlo. Qualcuno ha addirittura supposto che io le somigli, e che per questo abbia scritto su di lei. Credo sia questa passione a rendere il mio romanzo tanto popolare. Non mi aspettavo che il libro diventasse un bestseller, ma ha venduto più di 4 milioni di copie in tutto il mondo - 500.000 solo in Italia. In effetti, dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, l’ Italia è il paese in cui ho venduto più copie. Forse gli italiani sono più appassionati di altri. Il fatto che dal libro sia stato tratto un film ha ovviamente contribuito al suo successo. È il sogno di tutti gli scrittori, ma è difficile che si avveri, ed è ancora più difficile che il film riesca bene. Sono stata fortunata: penso che il film La ragazza con l’ orecchino di perla sia meraviglioso, un Vermeer glorioso e fluido che onora il romanzo. È stato naturalmente d’ aiuto che la ragazza fosse interpretata dalla giovane Scarlett Johansson. Anche se per una scrittrice è una strana esperienza vedere calata nella realtà una storia che aveva solo immaginata, sono uscita dall’ esperienza indenne, anzi con una reputazione rafforzata. Nonostante tutto il clamore che l’ ha circondata - il libro, il film, la pubblicità - la ragazza con l’ orecchino di perla rimane un enigma. Ci lancia uno sguardo che non si può spiegare neanche usando 75 mila parole. Ho scritto un intero romanzo su di lei, ma non so ancora che cosa stia pensando. È come una canzone che termina al penultimo accordo, e rimane irrisolta. Penso lo siano tutte le migliori opere d’ arte - ed è questo che ci spinge a tornare a guardarle all’ infinito. La ragazza con la perla resta un mistero insoluto, e di conseguenza è ancora gloriosamente, misteriosamente, incantevolmente, e per sempre, se stessa. (Traduzione di Maria Sepa) © Tracy Chevalier / Agenzia Santachiara