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 2010  settembre 04 Sabato calendario

LE TRE PAURE DELLA VEDOVA CON 2,3 MILIONI

Ho 56 anni, dirigente statale, vedova, con stipendio netto mensile e pensione maritale di circa 4.600 euro netti mensili. Tra sette anni dovrei andare in pensione con 40 anni di contributi. La casa è di proprietà e ci abito con due figlie universitarie (una di loro compie ripetizioni saltuarie). Tutte e due vogliono rendersi indipendenti dopo la laurea per cui tengo liquido un capitale di 2.300.000 euro derivante dalla vendita, avvenuta sette anni fa, di due case e terreni di famiglia.
La allocazione è la seguente: 1.200.000 euro su Webank che garantisce il 3% di interesse per un vincolo di un anno; 900mila euro in Santander con un tasso leggermente maggiore. Tutte le somme sono ritirabili in caso di necessità, pena perdita degli interessi sulle somme ritirate. I conti di deposito sono cointestati a me e alle figlie per evitar loro faticose trafile in caso di un deprecabile evento; 20mila euro in azioni Generali, in perdita del 10% ma che voglio tenere per incassare il dividendo e per la solidità della compagnia. Il resto su Conto Arancio e sul conto corrente omonimo per spese estemporanee e per alimentare le carte di credito delle ragazze.
La liquidità mi dovrebbe servire tra due/tre anni o forse più, per rendere indipendenti le figlie e sostenerle anche economicamente prima che si possano mantenere da sole. Ho scelto conti di deposito in quanto le obbligazioni bancarie hanno una durata troppo lunga e sono soggette a oscillazioni anche negative per cui non potrei venderle se decidessi di investire. Sono un po’ preoccupata per il possibile fallimento di qualche banca anche se l’investimento a un anno mi sembra abbastanza corto per poter ritirare tutto in caso di notizie negative sulle banche citate. Ma non sono sicura che farei a tempo. I titoli di Stato rendono poco e credo che non seguirebbero l’inflazione che si paventa. Come allocare meglio il capitale?
E.T. (via e-mail)
• Vorrei schematizzare le sue paure in tema di investimenti, comuni a molti altri risparmiatori: 1) timore di insolvenza dei soggetti ai quali affidare i risparmi, come le banche; 2) timore di essere costretta a liquidare in perdita degli investimenti per via delle oscillazioni delle loro quotazioni; 3) t imore di subìre l’erosione dell’inflazione sui risparmi.
È impossibile assecondare contemporaneamente queste tre paure. Non sono disponibili impieghi che minimizzino allo stesso tempo il rischio di insolvenza, il rischio di mercato e quello inflattivo. Può trovare degli investimenti che minimizzano il rischio-insolvenza e quello inflattivo, ma non quello di mercato: è il caso dei titoli di Stato a capitale indicizzato all’inflazione come i BTpi quotati, con rischi di perdite di breve periodo. Può trovare investimenti che minimizzano il rischio di insolvenza e quello di mercato, ma non quello inflattivo: i depositi bancari coperti dal Fondo interbancario di garanzia (nel suo caso fino a 103.291 euro per ciascuna delle tre depositanti e per ognuno dei tre conti aperti), ma offrono un rendimento nominale, che può essere eroso dell’aumento del costo della vita. Lo stesso si può dire delle polizze Vita con rendimento (sempre nominale) garantito e consolidamento delle prestazioni. Ci sono infine degli strumenti, come le obbligazioni bancarie con una cedola agganciata all’inflazione, che le assicurano una discreta copertura nei confronti dell’aumento del costo della vita, ma la espongono al rischio di default in misura maggiore rispetto ai depositi perché questi impieghi non sono garantiti dal Fondo interbancario, e in ogni caso sono quotati e quindi ostaggio delle oscillazioni del mercato. In teoria una soluzione che minimizza queste tre paure esiste, ed è quella rappresentata dai buoni postali indicizzati all’inflazione. Sono garantiti dallo Stato, non sono quotati e dovrebbero coprire dall’aumento del costo della vita. Però, in base alle condizioni in vigore dal 1° agosto, nei primi tre anni danno un rendimento nominale, e successivamente il loro ridotto extrarendimento rispetto all’inflazione può essere facilmente eroso dalla ritenuta del 12,5%. Sta a lei scegliere quale rischio - tra quello di mercato e quello inflattivo - sia meno desiderabile correre.