Michele Ainis, Il Sole 24 Ore 4/9/2010, 4 settembre 2010
PENELOPE HA CASA IN PARLAMENTO
Il governo del fare? Chiamiamolo piuttosto governo del disfare. Perché nella tela di Penelope con cui il Berlusconi-quater cuce e scuce le sue leggi non è caduta soltanto la riforma delle intercettazioni, tanto da meritare l’ironia del capo dello Stato («Qualcuno sa che fine ha fatto?»).
Benché, certo: quel disegno di legge è un caso esemplare. Depositato in Parlamento nel giugno 2008, approvato dalla Camera nel giugno 2009, approvato a sua volta dal Senato (con modifiche) nel giugno 2010, di questo passo la Camera lo timbrerà di nuovo non prima del giugno 2011.
Ma, per l’appunto, non si tratta di un caso isolato. È successo molte altre volte in tema di giustizia, dove per esempio il "processo breve" appare per un giorno e il giorno dopo s’inabissa nei tunnel della ferrovia parlamentare.
Dove una riforma complessiva dei procedimenti penali, trascritta in un disegno di legge battezzato dal Consiglio dei ministri il 6 febbraio 2009, langue da un anno e mezzo presso la commissione Giustizia del Senato. Dove nei labirinti della Camera sono sepolte le nuove norme in materia d’usura e di estorsione, già licenziate dal Senato.
Dove la riforma dell’avvocatura non è mai uscita dal libro dei desideri del governo. Dove la calura estiva ha fatto squagliare pure il lodo Alfano- bis, quello vestito in abiti costituzionali, quello che dovrebbe donare l’immunità alle alte cariche dello Stato, superando lo stop della Consulta. Si era udito un gran rumor di sciabole, all’atto della sua presentazione. Ora silenzio; sarà andato in ferie pure lui.
E a proposito di riforme costituzionali: c’è ancora chi rammenta il vociare sulle correzioni (urgenti, impel-lenti, non più procrastinabili) alla nostra forma di governo? Eppure succedeva soltanto nella primavera scorsa, quando il semipresidenzialismo in salsa francese era diventato l’urlo di battaglia dell’esecutivo.
Tanto che in aprile il ministro Calderoli consegnò in anteprima al Quirinale una bozza di riforma, su cui evidentemente dev’essere calato il segreto di stato, perché gli italiani non ne hanno mai letto un rigo. E il nuovo articolo 41 della Carta, proposto a giugno dal ministro Tremonti per rinvigorire la libertà d’impresa? E il nuovo articolo 1, su cui a gennaio si è esercitato con le medesime intenzioni il ministro Brunetta?
Desaparecidos,
ma non è detto che sia un male. Senza dire dei temi etici, sui quali l’attenzione del governo è nevrotica come una zitella. Lasciamo pure perdere la stretta sulla prostituzione (giace al Senato in commissione), quella sulla pedofilia (idem alla Camera), il divorzio breve (doppio idem), la legge contro le violenze sessuali ( disco verde alla Camera, giallo al Senato).
Ma di Eluana Englaro, qualcuno si ricorda? Il suo caso innescò un conflitto fra palazzo Chigi e il Quirinale, quando Napolitano rifiutò la firma al decreto predisposto dal governo; fu presentato allora un disegno di legge, che il Senato approvò a tambur battente il 26 novembre 2009; dopo di che, campa cavallo. Eppure sul testamento biologico persiste un vuoto normativo che sarebbe utile colmare.
Insomma la tela di Penelope rischia di far perdere clienti alla sartoria governativa. Non che il sarto sia del tutto inoperoso, benché l’ultimo trimestre prima delle ferie segni una netta flessione nel numero di leggi approvate. Colpa soprattutto della manovra finanziaria, che ha assorbito il lavoro delle Camere. E comunque fra luglio e agosto è stato promulgato il piano contro le mafie, insieme alle nuove norme sulla sicurezza stradale.
Resta però la sensazione d’un tragitto casuale e improvvisato, senza un’agenda perentoria,senza un elenco delle priorità. Siccome l’8 settembre ( data inquietante) riapre il Parlamento, sarebbe bene concentrarsi su almeno tre questioni.
Primo: il lavoro, anche rivisitando il testo rinviato alle Camere da Napolitano, e introducendovi altresì provvedimenti per sostenere l’occupazione giovanile.
Secondo: le carceri, perché in Italia il sovraffollamento è diventato una vergogna nazionale. C’è per esempio un disegno di legge sulle pene detentive a domicilio, nascosto nei cassetti della commissione Giustizia della Camera; tiriamolo fuori, e tiriamo fuori qualche detenuto.
Terzo: l’università, altra riforma che viaggia in tempi biblici. Eppure il testo Gelmini aveva meritato apprezzamenti anche dall’opposizione, salvo la denuncia ( sacrosanta) sui quattrini che mancano all’appello. Se il governo si sbarazza della tela di Penelope, può ancora cucire un po’ di stoffa buona.