Giovanni Caprara, Corriere della Sera 4/9/2010, 4 settembre 2010
PROMOSSO IL ROBOT COSMICO CHE SVELERÀ I SEGRETI DEL SOLE
Mai ci si era avvicinati così tanto al Sole. Si arriverà a sfiorarlo da appena 7 milioni di chilometri e la sonda che tenterà l’impresa sarà riscaldata quasi a mille gradi. Ma era l’unico modo per sciogliere almeno alcuni dei misteri che il nostro astro conserva gelosamente. La Nasa, dopo anni di studi e l’approvazione del progetto due anni fa, ha finalmente deciso di dare il via concretamente ad una delle missioni più rischiose mai tentate scegliendo i quattro strumenti che saranno gli «occhi e i sensi» del nuovo robot cosmico. Battezzato «Solar Probe Plus» volerà nello spazio nel 2018 e dopo una serie di girotondi tra i pianeti si avvicinerà al corpo infuocato della stella che mantiene la vita sulla Terra condizionandola nel bene e nel male. Proprio per questo, a partire da Galileo Galilei che osservò le macchie, si è continuato ad indagare i ritmi segreti del suo funzionamento. E nonostante l’arrivo dell’era spaziale e delle decine di satelliti costruiti per sondarne la natura, molti segreti rimangono.
Come mai, ad esempio, l’atmosfera (la corona) del Sole è molto più calda, vari milioni di gradi, rispetto alla superficie? Con quale meccanismo l’energia viene dissipata nella corona? Come il caldissimo plasma solare fugge dall’astro generando il famoso vento solare? Queste domande sono senza risposta ma esse sono importanti per difenderci e capire come il Sole i nfl uenzi l’ambiente terrestre. Le esplosioni sulla superficie generano un fiume di particelle che investe la Terra e in alcuni casi ha accecato satelliti, ha interrotto la distribuzione dell’energia elettrica in Canada, ha disturbato le comunicazioni radio.
La missione di Solar Probe si concretizza ora perché soltanto adesso c’è una tecnologia in grado di realizzarla; anche se il primo progetto veniva realizzato nella metà degli anni Settanta al Jet Propulsion Laboratory (JPL) della Nasa dal professor Giuseppe Colombo dell’Università di Padova. Ipotizzando due possibilità: far scendere la sonda sul Sole o avvicinarla ad una distanza che consentisse comunque una ricerca approfondita. Si preferì la seconda via lavorando sino a renderla possibile. E il testimone di Colombo veniva raccolto da un altro scienziato italiano, Marco Velli, anch’egli impegnato al JPL californiano e nominato «principal investigator» della spedizione.
La posta in gioco è importante tanto che in parallelo, pure l’Esa europea e la Roskosmos russa, stanno impegnandosi su questi obiettivi ardui ma fondamentali sia per conoscere la natura della stella sia per decifrare, appunto, le conseguenze scatenate sul pianeta su cui viviamo.