Marco Del Corona, Corriere della Sera 4/9/2010, 4 settembre 2010
CINA, NOSTALGIA DEL MAOISMO. TORNA LA GINNASTICA AL LAVORO
Pechino — Premono la schiena sul muro. Sempre in piedi, torcono il collo. A decine. Con i computer accesi e le tastiere ancora calde. Pausa ginnastica, infilata tra le ore di lavoro e i cubicoli dove prende corpo Jiayuan.com, il maggior sito per cuori solitari della Cina. Pancia in dentro e petto in fuori. Qui è la libera scelta di un’azienda privata, ma dallo scorso 10 agosto per 4 milioni e passa di dipendenti pubblici di Pechino gli esercizi fisici sul posto di lavoro sono un obbligo. E al Partito comunista non dispiacerebbe reintrodurli a pioggia, per il bene di una nazione che mette su chili e ri-schia di gravare su un sistema sanitario disomogeneo e affannato.
Obiettivo dell’offensiva sono, appunto, i dipendenti pubblici. Ed è un ritorno. Gli esercizi fisici obbligatori erano una costante della Cina che non c’è più, uno degli aspetti meno foschi del maoismo. Vennero introdotti nel 1951, le pause nelle fabbriche e negli uffici della giovanissima Repubblica Popolare si componevano di sequenze di esercizi accompagnati da trasmissioni radiofoniche ad hoc. Adesso a Pechino è lo stesso. Alle 10 del mattino e alle 3 del pomeriggio, sulla frequenza 102.5, una radio specializzata in trasmissioni sportive guida i cittadini verso una salute fisica degna della crescita economica, questa sì tutta muscoli. Sono state messe a punto una decina di sequenze di esercizi, alcune — mirate agli impiegati più anziani — consentono di rimanere sulla seggiola. C’è un «tai chi» seduto, c’è anche yoga. Quest’anno 5 mila istruttori hanno battuto i corridoi di ministeri, agenzie statali e grandi magazzini pubblici aiutando e sostenendo i compagni ginnasti.
Per nessuno si tratta di una novità assoluta. Lo è l’obbligatorietà, al massimo. Chi è fresco di studi ricorda gli esercizi la mattina e la ginnastica per gli occhi il pomeriggio. I più anziani raccontano di come gli esercizi costituissero una cauta e casta socializzazione. Ai Qing, uno dei maggiori poeti del Novecento cinese, aveva contemplato a una finestra la donna che sarebbe diventata sua moglie, Gao Ying, mentre faceva ginnastica, e poco importava che fosse sposata. La routine è andata avanti per anni, ha attraversato quasi indenne la Rivoluzione Culturale e ha cominciato la parabola discendente con la de-maoizzazione e le riforme di Deng Xiaoping, dopo il 1978.
Ma se una volta la ginnastica di Stato serviva per dare tono a una popolazione fisicamente provata da un’interminabile stagione di guerre e a una ricostruzione piena di problemi (e drammi), il paradosso è che adesso a preoccupare il Partito-capofamiglia è la troppo florida condizione dei cinesi. Nella capitale il 40% dei dipendenti pubblici è sovrappeso, il 90% ha qualcosa che non va. Resta l’ombra di un controllo, un’irreggimentazione vecchio stile, ma è soltanto un’eco, benché il sindacato unico di Pechino abbia avvertito che il modo in cui vengono eseguiti gli esercizi contribuirà alla valutazione dei dirigenti. Tornano utili anche i testimonial, come Li Ning, ex campione di ginnastica, ultimo tedoforo all’Olimpiade di Pechino. Guardare Li può essere un’ispirazione. Anche se forse, più che la forma fisica, di lui piace di più il modo in cui è diventato un imprenditore nel campo dell’abbigliamento sportivo: ricco, tanto ricco.