Giorgio Dell’Arti, La Stampa 04/09/2010, PAGINA 76, 4 settembre 2010
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 32 - GUADAGNARE CON I TRENI
Lei stava dimostrando che Cavour, alla fine degli anni Quaranta, era ricchissimo.
Sì, all’agricoltura si deve aggiungere tutto il resto. La prima impresa andò male: innamorato delle ferrovie, che aveva visto in Inghilterra, il conte entrò nell’affare del collegamento tra Chambéry e il lago di Bourget, otto chilometri di binario alla fine dei quali i passeggeri e le merci avrebbero risalito i canali in battello fino a Lione. Disastro completo, i capitali erano troppo pochi e un giovane ingegnere sbagliò il motore delle imbarcazioni. Ci rimise centomila lire pure Cesare Balbo, entrato nell’affare solo per amore del conte.
Cavour induceva fiducia negli investitori?
Molta fiducia. Per esempio: «Bramosi quali siamo di non lasciarci sfuggire la propizia occasione onde assicurarci del prezioso acquisto di un Personaggio di tanto merito sotto d’ogni rapporto come sarebbe il degnissimo Sig. Conte...» eccetera eccetera. È la lettera di un gruppo di genovesi che aveva, o credeva di avere, un’opzione sulla ferrovia Genova-confine lombardo. Nel ’42 il re aveva deciso di collegare Genova e Torino, e Cavour aveva subito calcolato che investendo 27 milioni si sarebbe ricavato un reddito del 5 e mezzo per cento, cioè un milione e mezzo l’anno. Aveva messo insieme un pool internazionale di banchieri e a quel punto questi genovesi, piuttosto spaventati, avevano chiesto di essere associati all’affare.
Come faceva Cavour a conoscere tutti questi banchieri?
Leri commerciava con l’Europa. Gli affari della zia Vittoria - cioè le grandi proprietà Clermont-Tonnerre in Delfinato e Franca Contea - avevano messo il conte in relazione con i principali studi legali e le più accreditate case bancarie parigine. Qui il suo tratto, la sua abilità di negoziatore avevano fatto colpo. La grande finanza - compreso Rothschild - frequentava poi volentieri sia il Jockey che Chantilly. Inoltre, prima di far parte del governo, il conte aveva continuato a viaggiare in lungo e in largo per l’Europa. A Londra, a Parigi non era più come un tempo, adesso veniva accolto a braccia aperte nei salotti più esclusivi. Guizot, la cui indifferenza l’aveva tanto ferito nel ’35, a metà degli anni Quaranta sapeva benissimo chi era quel piccolo piemontese incapace di star fermo.
La Torino-Genova?
Carlo Alberto, come tutti gli assolutisti, non si fidava dei privati e decise che i tronchi principali li avrebbe costruiti lo Stato. C’erano del resto 70 milioni inutilizzati in cassa. Lasciava però ai privati le linee secondarie, per esempio la Torino-Savigliano su cui il conte ed Emilio De La Rüe si buttarono a capofitto: società con capitale di 7 milioni e mezzo, 25 azioni da 350 mila lire, come al solito all’inizio non voleva entrare nessuno e alla fine 24 azioni su 25 risultarono sottoscritte, la venticinquesima la prese Cavour che la frazionò e rivendette profittando di qualche rialzo, e pigliandosi pure i soldi delle commissioni. Ma anche la Torino-Genova risultò interessante, c’era infatti da far da banca ai fornitori esteri (Cavour, Emilio e il banchiere Dupré si impegnarono con la ditta inglese Castellain - che forniva rotaie, cuscinetti, armature di ferro eccetera - ad anticipare le spese di nolo da Liverpool a Genova, sorvegliare lo scarico del materiale, occuparsi poi del carico e delle spedizioni successive, con incasso dei pagamenti e remissione in Inghilterra, il tutto per una commissione del 3%) e da rifornire di traversine di legno la linea principale. Cavour calcolò che ci sarebbero volute 235.400 traversine e constatò che il conte Galateri ne aveva già vendute al governo 80 mila a 8 franchi l’una. Fece quindi società con Emilio, Eusebio Golzio e il conte-banchiere Rignon per l’acquisto dei tagli della foresta della Perosa e si mise con Rignon per anticipare i capitali al 4%. A chi gli diceva che era tutto un gran rischio, che prima o poi si sarebbe rotto l’osso del collo, rispondeva: ma quale rischio, c’è uno da perdere e dieci da guadagnare, anche ammettendo che non piazziamo le traversine, il solo fatto delle ferrovie farà aumentare la domanda di legno.
Qualche impresa in perdita?
Aveva piantato le barbabietole a Grinzane e a Leri con l’idea di metter su uno zuccherificio. Lasciò perdere per i terrori del padre, che non credeva nell’industria. Poi ci fu l’idea del guano artificiale, senza la minima prova che fosse possibile. Società con Emilio, Pietro di Santa Rosa, Alessio Rossi (fabbricante di acido solforico, cloruro di calce e sali di ammoniaca) e Domenico Schiaparelli (fosforo). C’è qui una famosa lettera di Emilio De La Rüe: «No Cavour, basta Cavour, ho perso il conto, io mi perdo nei laboratori più ancora che nei boschi, ditemi per l’amor di Dio che possibilità abbiamo di guadagnare in un affare come questo, Cavour, io vi giuro, son pronto a venirvi dietro dappertutto, ma sento che senza di voi non oserei sfiorar questa roba neanche con la punta di un dito...». Quello fu in effetti un buco nell’acqua.