La Stampa 4/9/2010, pagina 39, 4 settembre 2010
Lo stato dell’opera - Son tempi cupi, per l’opera in Italia. Ieri Riccardo Chailly ha detto alla Stampa che il nostro Paese sta buttando via tre secoli di cultura, di emozioni, di storia (e di gloria)
Lo stato dell’opera - Son tempi cupi, per l’opera in Italia. Ieri Riccardo Chailly ha detto alla Stampa che il nostro Paese sta buttando via tre secoli di cultura, di emozioni, di storia (e di gloria). Sempre ieri, a Mantova, Zubin Mehta, il più fiorentino dei maestri benché sia nato a Mumbai, presentando il Rigoletto che dirigerà su Raiuno ha mandato al diavolo la diplomazia e il ministro Bondi: «Brava Rai, spero che il Rigoletto sia d’ispirazione per questo governo che taglia. Bondi è senza vergogna, non ha nemmeno il coraggio di venire a Firenze a parlare con noi. Ci avevano detto che avrebbero pagato la tournée del Maggio musicale in Giappone per i 150 dell’Unità d’Italia, e invece niente. Vergogna!» (il ministro ha subito replicato che invece lui i teatri li ama e li vuole salvare: un incompreso). E dire che l’opera ci prova, a uscire dalle catacombe dov’è chiusa perché ci si è rinchiusa e dalla tomba cui è destinata, pare, nel Paese che l’ha inventata. Per esempio, cercando un nuovo pubblico. Prendete gli eventi raccontati in questa pagina, uno grande per grandi numeri, il teleRigoletto che sarà visto da un miliardo di persone, uno piccolo per i piccoli, Jovanotti che lavora con i ragazzini su Rossini. Non due opere, intendiamoci: ma testimoniano della voglia che c’è di spiegare che Verdi e Rossini sono per tutti, non per pochi, e non sono una storia magnifica però remota, ma parlano di noi, qui, adesso e ancora e sempre, e il futuro avrà senso solo se ci porteremo quel che di grande ha lasciato il passato. Sperando davvero che in Italia l’opera si possa continuare a fare, e i figli non disperdano l’eredità dei padri.