MAURIZIO MOLINARI, La Stampa 4/9/2010, pagina 21, 4 settembre 2010
“Amanda e Raffaele: innocenti” - Amanda Knox non solo è innocente ma non doveva neanche essere inclusa nella lista dei sospetti: ad affermarlo è Steve Moore, l’ex agente speciale dell’Fbi che negli ultimi mesi ha esaminato con cura tutti gli elementi del processo svoltosi a Perugia sull’omicidio della giovane Meredith Kercher
“Amanda e Raffaele: innocenti” - Amanda Knox non solo è innocente ma non doveva neanche essere inclusa nella lista dei sospetti: ad affermarlo è Steve Moore, l’ex agente speciale dell’Fbi che negli ultimi mesi ha esaminato con cura tutti gli elementi del processo svoltosi a Perugia sull’omicidio della giovane Meredith Kercher. Steve Moore è un nome che riscuote attenzione in America perché prima di lasciare l’Fbi nel 2008 guidava da Los Angeles la «Extra Territorial Squad» incaricata di reagire ad atti di terrorismo in Asia e Pakistan e in precedenza era stato il supervisore della squadra investigativa su Al Qaeda. Nei 25 anni di servizio in forza dell’Fbi Moore, ha dichiarato al «Today Show» della Msnbc, si è convinto che «quando una persona viene incriminata spesso è colpevole» ma quando ha iniziato a scavare sull’omicidio di Meredith confessa di essersi trovato di fronte a un errore giudiziario di dimensioni tali da ipotizzare la manomissione delle prove da parte degli inquirenti. Partiamo dall’inizio. Amanda Knox nel dicembre scorso viene condannata a 26 anni di prigione per l’assassinio di Meredith, che avrebbe commesso assieme al compagno Raffaele Sollecito e a Rudy Hermann Guede ma, per Moore, l’«esame della scena del delitto porta a dire che lei e Sollecito non c’entrano». Ecco perché: «Sul luogo del delitto c’era tanto sangue, ovunque, come se fosse stato gettato apposta sul pavimento» dunque «se Amanda, Sollecito e Guede fossero stati ugualmente colpevoli vi sarebbero state le loro impronte, il loro Dna, i loro peli o capelli, insomma avremmo avuto un vero e proprio zoo di prove» invece «saliva, capelli e impronte trovate appartenevano ad una sola persona, Guede». Per Moore «non c’è alcuna possibilità che Amanda e Sollecito fossero presenti e siano riusciti a non lasciare prove fisiche» dunque «non potevano esser considerati sospetti». Ma c’è il nodo del comportamento di Amanda, che ha cambiato la sua versione degli eventi, e l’ex agente speciale spiega: «Certo, lo ha fatto ma dopo una notte di interrogatorio in carcere da parte di 12 persone durante il quale è stata privata di cibo, sonno e assistenza del Consolato. E ha detto di essere stata picchiata». L’ex agente è convinto di sapere cosa è successo quella notte: «E’ una tecnica che conosco. Prevede che 2 persone per volta entrino nella stanza e vi rimangano per un’ora, per piegare l’interrogato al termine della notte». Ma non è tutto: «La prova decisiva contro Amanda sta nel fatto che il suo Dna è stato trovato sul coltello del delitto ma le ferite inferte a Meredith sono troppo piccole per essere attribuite a quella lama». Il sospetto dunque che il coltello sia servito per incastrare la ragazza di 23 anni originaria di Seattle. Steve Moore aggiunge una considerazione più generale sul profilo di Amanda: «Le viene attribuito un delitto compiuto con rabbia violenta. Se così fosse si tratterebbe di una ragazza con un carattere deviato ed è impossibile che ciò non sia stato notato per 18, 19 o 20 anni. In tali casi vi sono sempre degli episodi che svelano i problemi del soggetto, qui c’è solo una ragazza che prende a scuola ottimi voti e non si dimostra mai violenta». A confermare la carenza di prove a carico di Amanda, Moore cita la dichiarazione dell’investigatore italiano Edgardo Giobbi: «Abbiamo saputo che era colpevole senza disporre di prove fisiche». La sua conclusione è che «Amanda e Sollecito sono innocenti mentre l’unico colpevole è Guede» e dunque l’appello in programma in novembre «dovrebbe porre fine ad una detenzione durata già tre anni». Moore afferma di «non aver avuto alcun contatto con gli avvocati di Amanda» e di aver svolto l’indagine di sua iniziativa «per approfondire un caso che ha colpito molto anche mia moglie». Ma le conclusioni a cui è arrivato sono destinate a infondere nuove speranze nella famiglia Knox.