Marco Sodano, La Stampa 4/9/2010, pagina 12, 4 settembre 2010
Catastrofe grano Ora il mondo si scopre affamato - Di fame si può morire in tanti modi. Sette persone sono rimaste uccise nei disordini scoppiati a Maputo, in Mozambico: è il bilancio provvisorio di una protesta contro l’aumento del prezzo del pane e di altri generi di prima necessità - i rincari più gravi dal 2008, ai tempi dell’ultima crisi dei prezzi alimentari -
Catastrofe grano Ora il mondo si scopre affamato - Di fame si può morire in tanti modi. Sette persone sono rimaste uccise nei disordini scoppiati a Maputo, in Mozambico: è il bilancio provvisorio di una protesta contro l’aumento del prezzo del pane e di altri generi di prima necessità - i rincari più gravi dal 2008, ai tempi dell’ultima crisi dei prezzi alimentari -. Sette morti per fame, altri 288 feriti, una lista che potrebbe allungarsi. Il governo mozambicano ha fatto sapere che durante lo sciopero generale nella capitale sono stati saccheggiati 23 esercizi commerciali, mentre 12 autobus sono stati danneggiati da atti vandalici. E un portavoce dell’esecutivo, Alberto Nkkutumula, ha ribadito che gli aumenti sono «irreversibili». Non sarà facile far rientrare gli scontri. Quando i prezzi si muovono, gli speculatori si mettono subito a fare la posta: perché, spiega la Fao, pare che il problema non stia ancora in una vera e propria carenza delle materie prime. E se è vero che, a guardarsi intorno, quella appena passata è una stagione disastrosa, è altrettanto vero che è scesa per ora solo la produzione di grano: all’appello del raccolto mancano 41 milioni di tonnellate di grano (sulle 2.200 attese). L’estate di maltempo ha ridotto la produzione ucraina da 21 a 17 milioni. Il fuoco in Russia Al contrario, in Russia, la colpa è degli incendi e della siccità peggiore che si ricordi: si raccoglieranno 60 milioni di tonnellate contro le oltre 90 dell’anno passato. Putin ha sospeso le esportazioni: e ha chiarito che non intende tornare sulla decisione fino a che i raccolti del 2011 non saranno mietuti «per non creare nervosismi non necessari - ha spiegato il premier russo - per assicurare la stabilità e la prevedibilità del business per tutti gli attori del mercato». Il premier ha invitato i produttori e i commercianti a lavorare sulla base «delle circostanze reali e considerare i bisogni del mercato domestico», ammettendo che, dopo l’imposizione dell’embargo, produttori e commercianti hanno iniziato a tenersi stretto il grano in attesa di ulteriori mosse del governo. Il rimbalzo sul mercato è stato immediato: i prezzi tra giugno e luglio sono cresciuti del 20%. Granai semivuoti anche nel vicino Kazakhstan: Il presidente Nursultan Nazarbaievha annunciato per il 2010 una produzione di circa 16 milioni di tonnellate rispetto ai 22,7 milioni di tonnellate del 2009. Nazarbaiev ha comunque assicurato che Astana non avrà problemi: esattamente come aveva fatto Putin non più tardi di un paio di settimane fa, poco prima di decretare l’embargo delle esportazioni. «Nonostante l’anno difficile, il raccolto lordo complessivo nella repubblica kazaka - ha detto il leader - sarà di circa 16 milioni di tonnellate. Dopo la pulitura, saranno oltre 14 milioni di tonnellate. Ne abbaimo 7 milioni accantonate dall’anno scorso e quindi avremo 21 milioni di tonnellate». Otto saranno destinate all’esportazione, ha concluso il Presidente con un tono che ricorda le promesse dei maiali protagonisti de «La Fattoria degli Animali». L’uragano in Sud America Poi c’è il Sud America, che attende con apprensione l’arrivo della Ninha, un’oscillazione climatica che si ripete tutti gli anni. «C’è una correlazione storica tra la Ninha e la siccità all’inizio e in mezzo alla stagione agricola in Argentina e nel Sud del Brasile», ha spiegato Bill Nelson, consulente di «Doane advisory services». Il clima era analogo nel 2007-2008: dai campi argentini sparì un terzo del raccolto di soia. La Ninha, insomma, «può seriamente ridurre la produzione del Brasile e dell’Argentina ed esercitare una pressione al rialzo sui prezzi a causa della carenza di produzione proveniente dall’America del sud», ha scritto a sua volta Chad Hart, docente d’economia agricola all’Università dell’Iowa, Usa. E l’eventuale crisi del raccolto in Sud America avrebbe conseguenze pesantissime: in primo luogo perché Brasile e Argentina sono come gli Stati Uniti grandissimi esportatori, in secondo luogo perché i loro raccolti arrivano dall’emisfero australe e dunque si mietono quando nei grandi Paesi consumatori del Nord è pieno inverno. L’appetito del Dragone Resta il fatto che alla Fao sono convinti che si tratti di speculazione. La minor produzione di grano non spiega l’aumento di altre derrate. Il mais, per esempio, è andato bene. Come anche il riso, mentre la produzione di orzo è a sua volta in caduta. Ma i cereali sono onnipresenti: alimentano gli animali da allevamento, e nei Paesi poveri - Africa, Asia - spesso sono il cibo più importante, se non tutto quello che c’è in tavola. Così la penuria di grano ha fatto salire la richiesta di riso, mais, e orzo. La Fao resta scettica: «L’aumento è più speculativo che nel 2007 e non è giustificato dal calo reale della produzione» secondo Luc Guyau. E poi c’è la Cina che si fa ricca e vuola mangiare di più. Il capo della Commissione per lo sviluppo e la riforma nazionale cinese Zhang Ping - di fatto il ministro dell’Economia della Repubblica popolare - ha spiegato che la sicurezza dell’approvvigionamento di grano è a rischio a causa dei prezzi alti sul mercato, riporta il sito internet del «Quotidiano del Popolo». La Cina ha aumentato parecchio le importazioni di soia e di granturco, per la diminuzione delle terre coltivabili e il cambiamento delle abitudini alimentari: l’aumento del consumo di carni, a scapito del riso il cui consumo è stabile da 10 anni, ha aumentato il fabbisogno di questi cereali destinati agli allevamenti. Molti analisti prevedono scontri simili a quelli di Maputo. Anche perché mentre il mondo occidentale si rassegnerà a pagare di più le pagnotte e le bistecche, in Paesi come il Mozambico piatti e dispense resteranno vuoti. L’economia non c’entra più: quando è questione di vita o di morte, si fa la guerra.