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 2010  settembre 04 Sabato calendario

Dopo 237 anni un quindicenne a Cambridge - Nella sua ancora breve esistenza Arran Fernandez, genio inglese del Sussex, un corpo sottile e flessibile come un cavo d’acciaio, la pelle di luna e una frangia nera rinascimentale tagliata davvero con poca maestria, ha avuto molto ma non ha scelto niente

Dopo 237 anni un quindicenne a Cambridge - Nella sua ancora breve esistenza Arran Fernandez, genio inglese del Sussex, un corpo sottile e flessibile come un cavo d’acciaio, la pelle di luna e una frangia nera rinascimentale tagliata davvero con poca maestria, ha avuto molto ma non ha scelto niente. E’ stata la vita a farlo per lui. Consegnandogli come ultimo regalo un telegramma dell’università di Cambridge, 800 anni di storia e 87 premi Nobel, che riportava queste poche e sentite parole: congratulazioni, lei è stato ammesso. Non male per uno che non ha mai fatto un solo giorno di scuola. A 15 anni e tre mesi, l’adolescente prodigio, già ex bambino prodigio e neonato prodigio, cresciuto, indirizzato ed educato tra le mura di casa, si ritrova così ad essere il più giovane studente a entrare nel divino tempio della matematica e della fisica da 237 anni a questa parte, ovvero da quel 1773 in cui William Pitt the Younger, destinato a diventare imberbe primo ministro inglese, si sedette, a 14 anni, sui banchi che già avevano ospitato le autorevoli membra di Isacco Newton. Il padre del ragazzo, il complicato professor Neil Fernandez, per il sangue del suo sangue, la carne della sua carne, ha sempre avuto le idee piuttosto chiare. E quando a sei anni, dopo aver ottenuto il General Certificate of Secondary Education, esame destinato a bambini con il doppio della sua età, l’ingenuo Arran gli si avvicinò dicendo: «Papà, da grande voglio fare il camionista», quello lo fulminò con lo sguardo. «Dubito, piccolo, tu sei un dio della matematica». Arran si strinse nelle spalle e lo abbracciò, perché come spiegava Balzac «non ci si avvicina al maestro per imparare a dubitare». Disse solo: «D’accordo farò lo scienziato». E così fu. Cominciò a vincere concorsi matematici e a stupire tutori più lenti di lui. Il passaggio attraverso le correnti degli studi secondari per il pallido inglese assorbito dai calcoli ed estasiato dai coseni furono la rapida navigazione attraverso un mare docile e senza onde. «Non avete nulla di più impegnativo?». Poco coinvolto da coetanei considerati troppo noiosi, il geniale Arran ha sempre avuto con la sua anagrafe il legame transitorio che si ha con gli aeroporti, in cui nessuno appartiene allo spazio in cui sta. Solo che i voli sono destinati alle masse e le colonne del sapere a pochi fortunati eletti. Posando per i fotografi e guardando fisso la telecamera, il genio del Sussex, una vera celebrità dalle parti di casa sua, è riuscito come sempre a darsi un tono professionale. «Sono felice, ma non perché ho battuto un record, semplicemente perché a Cambridge ci sono le condizioni ideali per fare la ricerca. Il mio obiettivo è risolvere l’ipotesi di Riemann». E che cosa se no? Considerato il più importante caso aperto della matematica moderna, l’ipotesi di Riemann oltre a essere potenzialmente decisiva per rivoluzionare la teoria dei numeri primi e, con un immediato effetto domino, il mondo dell’informatica, è considerata uno dei sette problemi del millennio, per la soluzione di ognuno dei quali il Clay Mathematics Institute ha offerto un premio da un milione di dollari. Ma il genio inglese non cerca il denaro, la gloria, piuttosto. «Esiste niente di più eccitante?». A chi gli chiede: scusa Neil, ma non credi che in questo modo Arran abbia perduto la giovinezza?, il padre del bambino-da-sempre-prodigio risponde stupito: «E perché mai, la sua crescita è stata normale, la sua capacità di socializzare è invidiabile e anzi sono io che mi chiedo: ma perché le scuole pubbliche sono così mal fatte da impedire a chiunque di ottenere i suoi stessi risultati?». Suggestivo e arrogantissimo paradosso. Arran, che alloggerà a Cambridge nell’appartamento affittato da papà, parlando con gli adulti si concede un solo momento di debolezza infantile. «Mi mancherà la mamma, potrò vederla solo nei fine settimana». Non gli amici, la mamma Hilde di origine olandese, perché ha imparato a ridere con lei risolvendo problemi complessi nella sua camera da letto. Però li guardava gli altri bambini, raccontano i suoi insegnanti privati. Lo faceva con un filo di malinconia. «Ma non sono io il genio?». Mancherà sempre qualcosa alla natura nella sua ricerca di perfezione.