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 2010  settembre 04 Sabato calendario

Alla Rai i concorsi non finiscono mai - No, 11.387 dipendenti non pos­son bastare. Un po’ livoglion per­ché sono precari

Alla Rai i concorsi non finiscono mai - No, 11.387 dipendenti non pos­son bastare. Un po’ livoglion per­ché sono precari. Un po’ li vo­glion perché ancor non san cosa vuol dir fare il redattore. Matta. Mamma Rai è proprio matta per­ché ha di nuovo carenza di affetto ed è pronta ad adottare figli e fi­gliastri a tappeto, con un bando di selezione di personale giornali­stico. Nonostante la crisi, i conti che si sono travestiti da contesse e lo spettro di esuberi, ricollocazione e mobilità interna. Se ne mormorava da mesi,dall’accordo con Usigrai, e finalmente ecco comparire il bando-salvagente, in grado di converti­re in contratti a termine i sussidi di disoc­cupazione dei precari iscritti all’Albo dei giornalisti professionisti. Precari che non hanno né colpa né peccato e meritano di avere delle chance in un mondo - quello dell’informazione - che vive un periodo di vacche anoressiche. Il nodo, semmai, è che il carrozzone di viale Mazzini è sì un ente pubblico, ma non un ente assisten­ziale. In soldoni, con i bilanci in rosso e il foltissimo parco-dipendenti che si ritro­va, siamo sicuri che la Rai possa permet­tersi di dispensare contratti a cuor legge­ro? È di soli tre anni fa l’approvazione di un piano aziendale che spergiurava di «razio­nalizzare il personale». Ma la sensazione è che la Rai di oggi somigli all’Iri, alle po­ste e alla scuola pubblica di ieri: una costo­sa valvola di sfogo del malcontento socia­le e della disoccupazione del ceto medio. Troppi giornalisti a spasso? Forza, venite da mammà. Il problema è che con oltre undicimila dipendenti, 1.600 dei quali giornalisti,forse l’organico della Radio Te­levisione di Stato è saturo. E forse dati co­me quelli del bilancio 2009, con un passi­vo di 62 milioni di euro e un crollo delle entrate pubblicitarie di 199 milioni (quasi il 17%), suggerirebbero meno munificen­za. Anche se poi, a ben vedere, di fronte ai cachet delle star i contratti a tempo deter­minato per i redattori da dislocare nelle sedi regionali lasciano il tempo che trova­no. Un tempo di burrasca, comunque. Al di là della contestabile campagna ac­quisti (aperta anche - e questo è un ritor­no al passato - ai parenti dei dipendenti attuali), rimane poi sul tavolo un’altra questione. Ossia la sciatteria del bando, vero specchio del Paese. Innanzitutto per quanto riguarda l’età, poiché tra i requisi­ti per l’ammissione alle prove selettive c’è la «data di nascita non anteriore al 01/07/1974». Ohibò, il cronista è come lo yogurt, ha la data di scadenza. Certo, nes­suno come i giornalisti sa essere acido, ma esiste un senso nel porre questo palet­to o questo limite un senso non ce l’ha? In altre parole: un precario di 37 anni perché dovrebbe essere tagliato fuori? Tanto vale­va imporre canoni come la taglia di reggi­seno superiore alla terza o un peso non superiore agli 80 kg.Non è un’azienda per vecchi, questa Rai. Che poi in video ricom­paiano puntualmente protagonisti del mesozoico allergici alla pensione, è un dettaglio. In questo giro di assunzioni le rughe e le stempiature non sono ben ac­cette neppure se sei nato il 30 giugno del ’74. Ma a far discutere è soprattutto un’altra discriminante, che in queste ore fa teme­re un caos di ricorsi al Tar: ovvero il «razzi­smo » anti-laziale. Già, perché alla selezio­ne può accedere chi risiede in 18 Regioni e nelle due Province autonome di Trento e Bolzano. Esistono però poco meno di sei milioni di figli della serva esclusi: i resi­denti del Lazio. Il motivo è la «non recetti­vità » della sede laziale e il fatto che chiun­que venga assunto possa poi in futuro chiedere il trasferimento nella sede di resi­denza. Il problema è che in questo modo un laziale non può entrare in Rai nemme­no se è disposto a finire al tg regionale del Friuli. C’è già chi parla di cavillo anticosti­tuzionale e di discriminazione territoria­le, poiché sarebbe bastato dichiarare im­possibile l’assunzione nella sede regiona­le, permettendo però ai laziali di presen­tarsi per altre sedi. D’altronde Mamma Rai è fattacosì:tan­to buona e tanto generosa, ma proprio non riesce a non combinare casini appe­na si muove.