Camillo Langone, Libero 3/9/2010, 3 settembre 2010
NEL LABIRINTO CON BORGES
Ci sono due tipi di sognatori: quelli che sognano a spese altrui e quelli che sognano a spese proprie. I primi di solito sono politici, il loro sogno è vaghissimo e vastissimo, di contenuto sociale, per farsi eleggere ripetono a pappagallo il motto di Martin Luther King “I have a dream” e quando è tempo di bilanci, a fine mandato, si scopre che le casse sono vuote, la pressione fiscale alzata e il sogno irrealizzato. I secondi sono privati cittadini, il loro sogno è preciso e circoscritto, di contenuto estetico, non vanno mai in televisione e dopo anni di lavoro il sogno lo realizzano davvero: un museo, un restauro, una collezione, oppure un labirinto.
I principali esponenti della prima tipologia li conosciamo tutti, sono gli Obama, i Veltroni, i Vendola. Il campione italiano della seconda è momentaneamente (solo momentaneamente) meno famoso: si chiama Franco Maria Ricci, ieri editore di libri e riviste meravigliose e oggi costruttore del labirinto più grande del mondo nelle sue terre di Fontanellato (Parma).
Perché un uomo benestante, giunto all’età in cui i membri del suo ceto si consegnano alle terme e alle crociere, impegna tutto il suo tempo e tutto il suo denaro nella costruzione di un labirinto?
«Io che nella mia vita ho sempre lavorato e non sono mai andato nemmeno una volta in vacanza ho pensato che, anziché morire dopo aver fatto seicento libri e qualche crociera, fosse meglio morire dopo aver fatto seicento libri e un labirinto».
Hai editato seicento libri?
«Sì, e sento il dovere di conservarli insieme alle opere d’arte comprate nel corso degli anni e alle edizioni del Bodoni di cui sono il più grande collezionista privato. Io non ho figli, e in questi casi o si vende tutto all’asta o si cerca di fare qualcosa di più nobile: io faccio il labirinto che sarà la scatola delle mie collezioni. All’interno del percorso è previsto uno spazio museale, ci metterò anche la Jaguar E».
Come al Vittoriale dove si può ammirare l’Isotta Fraschini di D’Annunzio... «Da ragazzo ho avuto il problema delle macchine belle, care e veloci, ho corso anche i campionati italiani universitari e il mio record della pista di Modena, classe 1300 Gran Turismo, è rimasto imbattuto. Quando hanno aperto l’autostrada del Sole, a quei tempi non c’era nemmeno un camion, andavo da Parma a Milano in trenta minuti. Però avevo visto morire il pilota Castellotti durante un semplice giro di prova (Enzo Ferrari era una fantastica persona, ma con le sue macchine ne sono morti parecchi) e dopo aver fatto alcuni testacoda capii che era ora di cambiare: tenni la Jaguar, ma comprai un’altra macchina più tranquilla e smisi di correre».
Il tuo nume ispiratore è Jorge Luis Borges, anche lui ossessionato dai labirinti: come hai fatto a convincere a collaborare alla tua casa editrice uno scrittore grandissimo e prestigiosissimo che viveva lontanissimo, per giunta cieco? «Avevo la mania del labirinto ancora prima di conoscere Borges. Lui era il mio mito letterario, avevo letto tutti i suoi libri e quando una comune amica si offrì di presentarmelo andai a trovarlo in Argentina. Erano i primi anni Settanta e mi diede appuntamento alla Biblioteca Nazionale di cui era direttore; quando entrai nel suo ufficio mi venne incontro recitando Dante».
A quel tempo ci vedeva ancora? «Vedeva solo le ombre. Mi prese sottobraccio e mi portò sotto la cupola della biblioteca, sopra la sala di lettura, e mi disse: “Questo è il centro del labirinto, io sono il Minotauro e sto aspettando che qualcuno arrivi a uccidermi o a salvarmi”».
Temeva per la sua vita?
«Borges temeva Peron che stava per tornare al potere. Subito gli proposi di organizzare la sua venuta in Europa e fu così che cominciammo a collaborare. Qui a Fontanellato, in questa casa, abbiamo inventato la “Biblioteca di Babele” che lui diresse in piena autonomia, così piena che non sono mai riuscito a inserire un autore che non fosse di suo gradimento. Io protestavo: “Com’è possibile che una collana di letteratura fantastica non abbia Hoffmann?”. E lui rispondeva: “No me gusta, no me gusta”».
Ma tu eri un piccolo, per quanto raffinatissimo, editore, e lui invece un grande autore internazionale. Come potevi permettertelo?
«Gli ero simpatico perché ero l’unico che lo pagava, magari non tanto ma lo pagavo, mentre gli altri editori non gli davano una lira. Poi non credeva nel suo potenziale commerciale, si meravigliava quando un titolo vendeva più di mille copie».
A proposito di soldi, di questi tempi si strilla contro i tagli alla cultura come se la cultura potesse esistere soltanto se sovvenzionata. Per il tuo labirinto hai ottenuto finanziamenti pubblici? «Posso dire con orgoglio di non avere mai ricevuto un soldo dallo Stato, né per il labirinto né per i libri. I miei rapporti con la politica sono tali che non ho mai ricevuto nemmeno l’invito a passeggiare il 2 giugno nei giardini del Quirinale. Ed è andata bene così perché ho scoperto che chi usa soldi pubblici prima o poi finisce male, le sovvenzioni ti tolgono il senso della realtà. Meglio fare da soli anche perché in una società capitalistica come la nostra non è possibile che un’idea giusta non venga premiata».
Caspita, bisognerebbe spiegarlo alla Fiat! Le tue idee erano talmente giuste che ti potevi permettere di lanciare talenti come Vittorio Sgarbi e Luigi Serafini.
«Sgarbi era uno sconosciuto, ma mi bastò parlarci per cinque minuti, capii subito il suo livello culturale. Per due o tre anni visse praticamente a casa mia, scrivendo articoli straordinari per FMR».
Quella che pubblicizzavi come «la rivista più bella del mondo».
«Sì, quella. Poi Vittorio ha fatto scelte diverse, è diventato un divo televisivo, ma siamo rimasti grandi amici. Luigi Serafini mi si presentò con la barba lunga: “Sono tre anni che non esco di casa per compilare l’enciclopedia di un mondo che non esiste. Lei è l’unico editore che può pubblicarmela”. Infatti gliela pubblicai». Era il Codex Seraphinianus che è stato definito «il libro più strano del mondo». Tu sei uno specialista dei primati eccentrici: ieri il libro più strano e la rivista più bella, oggi il labirinto più grande...
«Me lo insegnò Stanley Marcus dei magazzini Neiman Marcus. Era un ricchissimo collezionista americano che ammirava la mia grafica basata sui caratteri Bodoni. Un giorno mi disse: “In qualsiasi mestiere, in qualsiasi campo, bisogna essere il numero uno. Essere il numero due va ancora abbastanza bene, ma se sei soltanto il numero tre devi cambiare mestiere”. Per questo ho sempre cercato di fare le cose più belle, per questo sto costruendo un labirinto di otto ettari».
Il lettore a questo punto sarà ansioso di sapere quando sarà visitabile tale meraviglia. «I lavori sono cominciati nel 2004 e dal punto di vista botanico sono quasi finiti. Adesso bisogna costruire gli edifici, il museo, la biglietteria...». Non sarà un affascinantissimo cantiere infinito come la Sagrada Familia di Gaudì, altro formidabile visionario?
«Ho amato Gaudì, ma voglio differenziarmi. Conto di aprire nel 2013 che sarà un grande anno per Parma: bicentenario della nascita di Verdi e bicentenario della morte di Bodoni».