Massimi Gaggi, Corriere della Sera 3/9/2010, 3 settembre 2010
IL GRANDE BALLO CARIOCA DI NEW YORK
L’Empire State Building che ogni sera viene illuminato coi colori della festa di un Paese diverso, di questi tempi dovrebbe brillare stabilmente di verde e oro per celebrare la nuova «colonizzazione» di New York: quella di marca brasiliana. Vent’anni fa toccò ai giapponesi. Svuotavano le boutique e investivano massicciamente negli Stati Uniti. Compravano di tutto: palazzi, il grattacielo disegnato da Philip Johnson per l’AT&T, perfino il Rockefeller Center, simbolo immobiliare del capitalismo Usa. Poi l’America superò la crisi, si ricomprò il Rockefeller Center, ma New York rimase il grande emporio dei nuovi ricchi: russi, arabi, cinesi, mentre gli europei (con gli italiani in prima fila), incoraggiati dalla forza dell’euro e legati alla filosofia del «mattone sicuro», acquistavano penthouse di lusso a Park Avenue ma anche palazzi nelle zone di Harlem appena risanate.
Poi l’euro si è indebolito, mentre la crisi è arrivata anche in casa dei russi e di qualche altra economia emergente. Ma non in Brasile, un Paese in piena espansione demografica che negli ultimi otto anni ha triplicato il suo reddito nazionale.
Sono proprio loro, i «carioca», i nuovi colonizzatori di New York: negozi e agenzie immobiliari non fanno che cercare personale che sa esprimersi in portoghese (Prada ha già tre commesse brasiliane), una lingua che si sente ormai ovunque, dagli Apple Store alle boutique di Armani, Diesel o Louis Vuitton, fino alle grandi enoteche nelle quali i brasiliani acquistano senza esitazioni casse di vini francesi da mille dollari a bottiglia. Gente che guarda al futuro: i vinai di Sherry-Lehmann raccontano di vendere come l’acqua casse di Chateau Maraux Grand Cru 2009 per consegna nel 2012 a oltre 15 mila dollari l’una.
Strana esperienza, per gli americani, servire non più le parsimoniose formiche asiatiche, ma quelli che fino a ieri erano considerati i cugini poveri del Sud. Il Brasile, del resto, è ormai diventato una potenza industriale anche per prodotti sofisticati: gli aerei-navetta della Delta che fanno la spola tra Washington e New York non sono né Boeing né Airbus, ma Embraer costruiti a Sao José dos Campos.
Dunque, tappeti rossi per gli investitori venuti dal Brasile, anche se il suo leader, Lula, fa arrabbiare la Casa Bianca aprendo all’Iran e al Venezuela di Hugo Chávez. Il Banco do Brasil ha appena avuto l’autorizzazione della Fed ad aprire 15 filiali negli Usa e sta cercando di acquistare qualche banca regionale americana nelle zone di maggior interesse per gli investitori brasiliani. Molti dei quali si sono già mossi: Anheuser Busch, primo birraio d’America (Budweiser, Michelob, Bud Light) è da tempo nelle mani di una società mista a capitale belga e brasiliano.
Brasiliani che ormai spaziano dall’industria alimentare, alla chimica (il polipropilene Sunoco) al petrolio (i pozzi della Devon nel Golfo del Messico passati a Petrobras).