Sergio Romano, Corriere della Sera 3/9/2010, 3 settembre 2010
RISPONDE ROMANO
Da quando sono divampati gli incendi in Russia, ho notato in Putin un attivismo che non gli conoscevo: fotografato mentre pilotava un aereo antincendi, mentre a bordo di un aircraft ne promuoveva la fabbricazione da parte di Aereoflot, fotografato mentre guidava per 2000 Km sulla nuova autostrada verso la Siberia. Un vero «fasso tutto mi» made in Russia, quasi scottato dalle fiamme. Oppure è solo una mia impressione?
Adriano Ponti
aponti@hotmail.it
Caro Ponti,
Credo che all’origine dell’attivismo di Vladimir Putin vi siano almeno due ragioni. La prima è banalmente elettorale. Dopo la fine del suo secondo mandato presidenziale, Putin non ha voluto modificare la Costituzione (che esclude la possibilità di un immediato terzo mandato) e si è fatto da parte per consentire l’elezione al Cremlino di Dmitrji Medveded, accettando di recitare per qualche anno come Primo ministro la parte del secondo console. Ma si prepara a un nuovo mandato nelle prossime elezioni presidenziali e sta cercando di riconquistare lo spazio pubblico quasi interamente occupato negli ultimi anni dal suo successore.
La seconda ragione è negli spaventosi incendi che hanno devastato molte province della Russia nelle scorse settimane e avvolto Mosca per alcuni giorni in una velenosa nuvola di fumo. Sappiamo che la gravità e la durata del fenomeno sono dovute in buona parte alla combustione difficilmente controllabile delle paludi di torba, un prodotto naturale che brucia con grande lentezza e resiste tenacemente all’intervento dei pompieri. Ma gli incendi hanno trasmesso ai russi e al mondo, ancora una volta, l’immagine di un Paese continuamente a rischio e di un apparato statale mal preparato ad affrontare qualsiasi catastrofe, naturale o provocata dall’uomo.
Nulla di nuovo. Anche in tempi sovietici la Russia soffriva di inondazioni, incidenti ferroviari, disastri aerei, tragedie minerarie e nucleari in cui le forze della protezione civile intervenivano tardi e male. Ma il regime era allora perfettamente capace di seppellire quegli avvenimenti dietro la cortina del silenzio. Fu necessario attendere la metà degli anni Settanta per apprendere, grazie uno scienziato sovietico esule a Londra (Zhores A. Medvedev), lo scoppio di un deposito di scorie atomiche a lunga durata che si era verificato più di vent’anni prima negli Urali.
Le riforme di Gorbaciov e l’avvento di un sistema democratico, sia pure imperfetto, hanno cambiato il quadro. Il disastro di Cernobyl nel 1986 eilterre moto a r meno del 1988 hanno inaugurato una stagione in cui lo Stato non riesce più a censurare le cattive notizie con l’efficacia di un tempo. Vecchio funzionario del Kgb, Putin sa che nulla nuoce alla reputazione di un sistema politico e scioglie le lingue dei cittadini quanto lo spettacolo di una sciagura in cui lo Stato dà una sconcertante dimostrazione d’impotenza. Ne ha fatto una personale esperienza lui stesso nell’agosto del 2000 quando l’affondamento del sottomarino nucleare Kursk nel mare di Barents provocò la morte di 118 marinai. È probabile che negli scorsi mesi abbia visto alla televisione con quanta premura e diligenza il Premier cinese corresse immediatamente sui luoghi colpiti dalle inondazioni per occupare con la sua presenza una parte dello spazio televisivo dedicato all’avvenimento. E ha deciso di imitarlo. Opportunismo politico? Forse, ma è anche la prova che la Russia sta diventando un Paese normale.