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 2010  settembre 03 Venerdì calendario

MANCA LA FINE - ARCHIVIO STORICO

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LA VOLTA CHE ANDREATTA CHIAMÒ: «È NATO IL GOVERNO AMBROSETTI» -
Su un treno nella nebbia, così nacque nel ’74 il workshop di Villa d’Este

che lo abbraccia e lo bacia lasciandolo un po’ sorpreso: «Non sono abituato».
Sempre in quella edizione resta alle cronache il monito di Monti: il Dpef, il Documento di programmazione approvato tre mesi prima, condannerà l’Italia all’esclusione dall’euro. Monito raccolto con ritardo ma risultato fondamentale per il paese. E il tema dell’euro (che in futuro sarà comunque sempre centrale con la presenza costante dei Governatori della Bce), torna sotto i riflettori qualche anno, nel ’99, quando Romiti propone di «rinegoziare il patto di stabilità previsto dal trattato di Maastricht» per dare «un colpo di frusta», uno «choc» al paese. Ed è l’Avvocato a replicare: «Choc? Romiti ci è abituato. Ma non sono d’accordo, sarei mortificato e mi vergognerei come it al ia--

Interventi storici Alla prima edizione solo quattordici partecipanti. Vent’anni dopo i successi, come l’intervento nel ’93 dell’Avvocato Agnelli, nel ’94 del pm Antonio Di Pietro, fino all’incontro nel ’95 tra Shimon Peres e il leader palestinese Arafat no a chiedere una deroga».

L’Europa, il paese e le regole, la finanza pubblica saranno al centro del workshop anche negli anni successivi, quando ospite praticamente stabile diventa pure il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. E in teoria forse proprio lui potrebbe muovere a Cernobbio se non una critica un appunto: la globalizzazione, la Cina, la crisi, sono temi fondamentali che irrompono, ma secondo alcuni non proprio in anticipo, a Villa d’Este, che pure negli anni ha cambiato formula scandendo le giornate in mondo, Europa, Italia. Irrompono anche nel cast dei partecipanti: quest’anno arricchito da diversi rappresentanti new entry cinesi. D’altra parte si parla di scenari per le strategie competitive. E Pechino è l’attore più importante.

MILANO — Certo non se lo immaginava nemmeno Alfredo Ambrosetti in quella nebbiosa serata del novembre 1974. Non poteva prevedere che l’idea confezionata nel tragitto in treno (già, la nebbia) tra Verona e Milano con lo scienziato Umberto Colombo sarebbe diventata un marchio di fabbrica da difendere con copyright tanti sono stati successivamente i tentativi di imitazione. E probabilmente supera anche le speranze migliori del suo ideatore il fatto che oggi a Cernobbio si apra l’edizione numero trentasei del seminario-workshop che per tre giorni si svolge a porte a chiuse nella sala convegni di Villa d’Este.

Ed è altrettanto sicuro che sempre lui, Ambrosetti, qualche dubbio lo ha nutrito se proseguire o no con l’iniziativa dopo la prima edizione. Che, ritardo dopo ritardo a causa di una delle numerose tempeste politiche ed elettorali della Prima Repubblica, si è svolta in pieno luglio nel 1975. Secondo la formula messa a punto da Ambrosetti e Colombo sempre in quella serata di nebbia, ma poi cambiata, i tre giorni sono stati scanditi da tre temi, ricerca, sociopolitica ed economia, e tre relatori: Colombo appunto (allora al Cnen, poi presidente di Eni ed Enea e anche ministro), il sociologo Francesco Alberoni, e Beniamino Andreatta. Risultato: sarà stata la novità o la calura estiva, ma è difficile non parlare di flop sotto il profilo della partecipazione. Che è a pagamento, visto che le sponsorizzazioni sono state escluse fin dall’inizio. Tutti numeri uno, tutti appartenenti al Gotha delle grandi aziende, ma nella sala convegni erano presenti solo in 14. Non lo nasconde Alfredo Ambrosetti: «È stato un bagno di sangue».

Continuare? Lui racconta che la decisione di andare avanti l’ha presa la sera stessa dopo il fischio di fine-lavori. Scenario diverso: Sacromonte, Andreatta, ospite della famiglia Ambrosetti, guarda le stelle e dice: «Non ho mai imparato tanto in vita come in questi tre giorni». Si poteva dire basta? E le parole di Nino gli sono tornate in mente l’anno dopo, quando si è conclusa la seconda edizione, che questa volta si è tenuta nei primi giorni di settembre segnando ciò che è diventato un po’ il tradizionale primo giorno di scuola per politica e finanza al ritorno dalla pausa estiva. Stessi relatori, ma quanto ai partecipanti solo qualcuno in più: 37.

È alla terza puntata che il quadro cambia. Al club di chi guida i lavori del workshop (che certo allora nessuno o quasi chiamava così) si aggiungono Romano Prodi e Franco Modigliani, professore al Mit ma non ancora premio Nobel per l’economia (che gli è stato conferito nell’85). Qui comincia l’avventura del boom dei partecipanti e della decisione di limitare i posti (200) alla capienza di Villa d’Este. Si va alla lista d’attesa e alla rotazione degli inviti. E soprattutto, anche con l’arrivo di un ospite-relatore praticamente fisso, Mario Monti, comincia l’avventura dell’internazionalizzazione, o meglio, dell’europeismo che ha segnato la fortuna, la fatica e magari anche qualche riflessione giudicata tardiva, del club di Cernobbio. Club al quale vengono iscritti con intenzione palese molti protagonisti della Comunità, poi Ue, architettura politico-economica che forse anche l’appuntamento annuale di Villa D’Este ha contribuito a rendere più familiare alla nostra classe dirigente.

E con il «successo» il seminario diventa luogo d’incontro e di incrocio fra politica ed economia, «salotto» nel quale l’establishment si ritrova puntuale e, in qualche caso, scrive qualche pagina che resta alla storia. Sicuramente a Cernobbio c’è sempre il Gotha che dirige aziende e fa le leggi, top manager, ministri attuali e tante volte futuri. Racconta il fondatore di quando lo ha chiamato al telefono Andreatta per annunciargli: «Carissimo, ti comunico che oggi è nato il governo Ambrosetti».

E di pagine che sono state scritte a Cernobbio e che poi sono entrate negli archivi della nostra storia ce ne sono parecchie. A cominciare dai dialoghi negli anni di piombo fra Cesare Romiti e Luciano Lama. Ambrosetti ricorda che si trattava di «confronti che sembravano proporre posizioni inconciliabili, ma c’era un comune desiderio di dialogare. Lama portava a casa ogni volta 30-40 pagine fitte di appunti». E sarà lo stesso Lama anni dopo, nel gennaio ’94, a riconoscere con una lettera ad Ambrosetti il merito di aver riunito nella situazione italiana «sempre così carica di polemiche, astiosità e livore», i «rappresentanti principali della vita economica e finanziaria del paese creando un clima che ha consentito a tutti di esprimersi liberamente».

E liberamente, suscitando non pochi moti di sorpresa, si è espresso nel ’93 Giovanni Agnelli, protagonista principe di Cernobbio, dove arrivava in elicottero. L’Avvocato pronuncia una delle sue frasi più celebri: «Il capitalismo? Parola inappropriata e sorpassata». E solo il successivo «ma attenti, non ci sono formule alternative» attenua lo sconcerto fra i top manager che lo hanno per modello.

Il capitalismo vive certo momenti difficili, come ha anche detto Agnelli. E soprattutto quello italiano. Siamo nella piena tempesta Tangentopoli e l’anno dopo a Cernobbio in un quadro che vede protagonisti ben diversi ma sempre carico di tensione è il Pm Antonio di Pietro ad aprire una nuova fase di Mani Pulite: «Basta con lo scontro», dice agli imprenditori in sala, diversi dei quali già nei suoi dossier, «passiamo alla collaborazione affinché ciò che è successo non si ripeta più».

E se un’altra pagina è stata «quasi scritta» da Fausto Bertinotti sulle 35 ore, la storia a Cernobbio non è solo italiana. Anzi. A Villa d’Este nel ’95 si incontrano per 20 minuti il leader palestinese Yasser Arafat e l’allora ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres. Incontro che si ripeterà sempre a Cernobbio ma che quella volta è un fatto eccezionale e ha un unico testimone: Agnelli appunto, che viene accolto a Villa d’Este non appena sceso dall’elicottero da un Arafat molto espansivo