Giampiero Mughini, Libero 2/9/2010, 2 settembre 2010
PINO SETTANNI
Eppure più giovane di me, il mio amico Pino Settanni ha perso la sua battaglia contro il cancro al fegato che lo aveva addentato due anni fa. È morto martedì sera, e mentre non avevano più lacrime gli occhi di Monique, la compagna di una vita che lo stava assistendo. Difficile il suo carattere, difficilissimi i tempi per chi vive di fotografia, Pino è stato uno dei migliori fotografi italiani degli ultimi trent’anni e sino all’ultimo s’era inventato mostre e progetti fotografici, di cui nel mio giudizio bellissimo quello di andar girovagando per bancarelle di “souvenir” destinati ai turisti, di fotografare da distanza ravvicinata statuine e statuette quanto di più kitsch a farle diventare figure cariche di un alone sfumato e metafisico.
Nato a Taranto nel 1949, Settani era immigrato a Roma nel 1973 e dunque al tempo in cui non s’erano ancora spenti gli umori e le leggende della “dolce vita” romana. È un fatto che i più bei ritratti fotografici dei due monumentali protagonisti della “dolce vita”, Federico Fellini e Marcello Mastroianni, portino la sua firma: Fellini che lancia in aria delle matite colorate quasi a star creando uno dei suoi giochi prelibati; Mastroianni non più giovane che passeggia in riva al mare e mentre il vento scuote la sciarpa rossa che Pino gli aveva avvolto attorno al collo.
Coglitore d’anime
E del resto di quale attore o modella o artista, che vivesse a Roma o che passasse da Roma, Pino non ha fatto un ritratto divenuto iconico? C’è una sua foto che ritrae Robert Mitchum come meglio io non ne ho mai viste, una foto in cui dentro il volto di Mitchum c’è tutto intero il peronaggio di Marlowe. Se posso raffrontare il piccolo
piccolo al grande, di ritratti fotografici Pino ne ha fatti tre o quattro anche a me. Il più bello è una polaroid che ha scattato nel tempo di un decimo di secondo, il tempo di catturare una striscia di luce che mi si era poggiata in volto mentre stavo seduto sul divano della sua vecchia casa romana. E a non dire del contributo fotografico eccezionale che Pino ha dato a un mio libriccino del 2009 in cui scrivevo di vecchi libri rari del Novecento, e lui ogni volta era fulmineo nel catturare l’anima di un autore o di una copertina.
Mi è molto difficile parlare di Settanni, tante sono state le volte che ho visitato e reso onore al suo lavoro, tante le sue foto nella mia collezione, tante le cene in cui Pino si faceva valere e quanto al cibo e quanto al vino, tante le volte che abbiamo litigato da quanto era permalosissimo, come la volta che gli dissi che sarei stato più contento ad aver visto una mostra di foto di Helmut Newton che non le sue, e lui abboccò alla provocazione e si infuriò.
Contesa culinaria
Resto, ahimé, in debito con Pino. Dieci giorni fa a casa sua, e la morte già gli si era stampata in faccia, e mentre stavamo usufruendo del magnifico cibo apprestato da Monique, è sorta una contesa culinaria tra me e un altro ospite, il Gianfranco Piacentini che negli anni della “dolce vita” era stato il re dei playboy, quello che aveva presentato Brigitte Bardot a Gigi Rizzi. La contesa su chi di noi due cucinasse meglio gli spaghetti alla carbonara. Abbiamo deciso che l’uno e l’altro li avremmo preparati, e Monique e Pino avrebbero poi giudicato. Piacentini è andato a cena in casa Settanni, cinque o sei giorni fa, e ha preparato gli spaghetti, e anche se Monique e Pino non mi hanno voluto dire quanto fossero o non fossero buoni. Io non ho avuto il tempo di farli, la dama nera mi ha preceduto sul tempo. Vorrà dire che li farò una sera assieme a Monique e a Piacentini, e li mangeremo in onore di Pino.
Specialista del ritratto fotografico, Settanni preferiva ritrarre gli uomini che non le donne e seppure sia stato un tale devoto della bellezza femminile, cui ha dedicato un uragano di foto. Solo che le donne gli apparivano troppo concentrate sulla loro bellezze, restie a concedersi. «Le donne vogliono essere celebrate,equestoamenonva.Ionon voglio celebrare, voglio dominare», scrisse nella prefazione a un libro del 1998 dov’era raccolta una buona parte della sua opera.
Quanto al ritratto di un uomo, specialissimo è quello fatto a Fellini nel 1991 e di cui ho già parlato. Erano anni che Settanni glielo chiedeva, solo che Fellini non aveva nessuna voglia di andare nello studio di via Ripetta, e laddove Pino era lì che lo attendeva al varco, in quei sette metri quadri per quattro di cui era il dominatore. Finché Fellini si convinse. Settanni andò a prenderlo in taxi a via Margutta e da lì si trasferirono in via Ripetta, un tragitto che a compierlo a piedi ci metti sì e no dieci minuti. Solo che Settanni aveva raccomandato a Fellini di indossare qualcosa di nero, e quello se n’era dimenticato. Vennero fuori delle fotografie che facevano schifo. Al telefono Fellini disse che aveva sbagliato fotografo, quell’altro gli rispondeva che aveva sbagliato colore dell’abito.
Le matite del maestro
Miracolo, Fellini indossò un maglione nero e si presentò nuovamente a via Ripetta, dove Settanni gli aveva approntato un po’ di matite colorate e di fogli bianchi su cui disegnare mentre lo tampinava con la macchina fotografica. Fellini cominciò col disegnare, poi si mise a lanciare matite e fogli in aria alla maniera di un giocoliere. Il giocoliere principe della gioventù di Pino e di tanti altri. Il giocoliere principe degli anni in cui tutto fu inventato e tutto sembrava possibile.