MAURIZIO FERRARIS, la Repubblica 4/9/2010, 4 settembre 2010
IL CANONE POST OCCIDENTALE
Se novant´anni fa Spengler parlava con toni da tragedia di Tramonto dell´Occidente, da qualche decennio si sente più spesso parlare di fine del Canone Occidentale, cioè del corpus di testi a cui l´Occidente ha affidato la propria identità culturale. Il che può sembrare meno grave, ma sicuramente fa riflettere, perché non potersi più riferire a Omero e a Shakespeare, non possedere una koiné condivisa, rende difficile l´intesa, tra gli individui e tra le culture. Questo, secondo me, e non il primato culturale del Maschio Bianco che ne sarebbe il principale produttore e destinatario, costituisce il vero argomento a favore del Canone Occidentale.
I confini del Canone sono vaghi, anzitutto per via di quel riferimento all´Occidente che, molte volte, quando è scritto con la maiuscola non ha a che fare con la geografia, ma con la storia.
L’idea (che dai Greci arriva sino a noi) è che, proprio come il sole sorge a Oriente e tramonta in Occidente, così anche la storia universale inizia in Oriente e si compie in Occidente proponendo una civiltà sempre più perfezionata e sempre più esemplare, cioè valida per tutti. Che l´Europa - come volevano Herder e Hegel - sia davvero l´ultimo Occidente è materia a dir poco controversa, se non altro perché la terra è rotonda, e che davvero la storia si compia in qualche preciso momento è discutibile, visto che il tempo ha la caratteristica di scorrere. Per cui determinare l´Occidente Assoluto, o parlare di Fine della Storia significa esporsi a facili smentite, come è accaduto qualche anno fa a Fukuyama, peraltro un americano di origine giapponese, cioè uno che per Hegel o Herder non avrebbe mai potuto esistere.
Per ora, dunque, la storia non è finita, e con lei non è finito neanche l´Occidente (e le sue nozioni correlate), che si è rivelato capace di subire mutazioni genetiche esattamente come i virus. Si pensi alla espressione "cortina di ferro". Molto spesso si legge che è stata coniata da Churchill in una conferenza del marzo 1946, ma si dimentica che il primo a parlare di "cortina di ferro" era stato Goebbels, in un articolo del febbraio 1945, prospettando le sciagure che si sarebbero abbattute sull´Occidente in caso di vittoria sovietica. Malgrado l´origine imbarazzante, per più di quarant´anni si è andati avanti con quella cortina che faceva iniziare l´Oriente in piena Berlino, proprio al di là di Checkpoint Charlie, ossia in quello che, per Hegel, era il luogo in cui si compiva la storia universale come storia occidentale.
Si sarebbe detto che con la fine della contrapposizione tra i blocchi questa valorizzazione contrastiva dell´Occidente sarebbe finita, ma non è stato così, perché anche la reazione all´11 settembre si è presentata come una lotta tra Oriente e Occidente, in cui peraltro succede che il Marocco si trovi a Oriente e l´Australia a Occidente. Attenzione, però: l´idea si salva, ma perde smalto. Basti dire che la lotta è stata essenzialmente militare, e perdente, il che non deve stupire, nel momento in cui, per esempio, in Australia l´attrazione dei valori occidentali è in declino, per non dire di ciò che accade nelle élites non occidentali.
In tutto questo che accade al Canone? Qui il processo è un po´ diverso, perché il canone è fatto di libri, cioè di cose molto meno vaghe dell´idea di Occidente. All´inizio i libri sono pochissimi, Omero ed Esiodo, poi si aggiungono i tragici, i lirici, gli storici, i filosofi, e quindi la Bibbia e poco più. Quando il canone diventa un po´ troppo grande, ci pensa la crisi politica e culturale del passaggio dall´antichità al Medio Evo a selezionarlo, e così la biblioteca di Montaigne si coglie in un solo colpo d´occhio. Dunque, relativamente pochi libri, i classici, ma noti a tutti quelli che appartenevano a una classe, ristretta ma ubiqua. La citazione di Persio o di Ovidio poteva essere colta dagli aristocratici russi come dagli scienziati inglesi, dai filosofi tedeschi o dai gesuiti polacchi. Certo, già alla fine del Seicento, con la disputa tra gli Antichi e i Moderni, si sono aggiunte altre opere, e nel Settecento le enciclopedie si sono proposte come riorganizzazione del canone. L´accelerazione decisiva, però, ha avuto luogo con lo sviluppo dell´industria culturale, con l´arrivo di cinema, radio, televisione e computer.
Ancora alla fine dell´Ottocento Mallarmé poteva scrivere, sia pure in una poesia: «La carne è triste, ahimè! E ho letto tutti i libri». Cosa gli sarebbe successo se si fosse fatto un giro su Internet? Si sarebbe accorto che di libri da leggere gliene restavano tantissimi, per non dire dei testi che non hanno più la forma del libro. Chi si leggerà tutta quella roba? E come si trasmetterà ai posteri quell´ammasso di file e di carte mescolato con caroselli, film, mp3, dvd e loro successori? Certo, si possono ipotizzare radicali (e, come abbiamo visto, tutt´altro che implausibili) rivolgimenti geopolitici, e in questo caso il problema non si pone: tutto scompare, o vivacchia in forma ridotta e marginale, in un mondo in cui la parola "Occidente" non dice più niente a nessuno, o è una semplice sopravvivenza storica per quei pochi a cui la parola "storia" dice ancora qualcosa. Ma se queste trasformazioni traumatiche non dovessero aver luogo, o non avvenissero così rapidamente, il canone potrebbe semplicemente implodere, per inflazione e obesità, nell´epoca in cui ognuno ha i suoi quindici minuti di celebrità su YouTube. Di fronte a una simile prospettiva, potremmo immaginare due finali per tutta questa storia.
Il primo è che il canone si particolarizzi, si regionalizzi, si moltiplichi in una miriade di sub-canoni effimeri e locali, al limite puramente individuali, il che comporterebbe il venir meno della stessa idea di "canone". Non credo che si debba valutare questa eventualità come il male assoluto, all´umanità può accadere di peggio. Di certo però sarebbe una catastrofe in senso tecnico ed etimologico, ossia, nel greco di Aristotele, una katastrophé, il rovesciamento o la rivoluzione radicale che pone fine al dramma. Personalmente preferisco immaginare un altro finale, meno fatalistico, e in cui gli uomini di cultura, le scuole e le università possano giocare qualche ruolo. In questo happy ending il canone riesce a rinnovarsi. Non certo attenendosi a una lista volenterosa e un po´ velleitaria di libri da non perdersi, a meno che per qualche calamità documentale non si salvino, per avventura, solo quelli. Ma, piuttosto, accogliendo nuovi titoli, e facendo sì che diventino canonici quanto Omero e Shakespeare. Ossia che risuonino nei nostri discorsi e i nostri pensieri, o, mal che vada, che siano conosciuti da tutti, magari più per sentito dire che per frequentazione diretta, che è il segno inconfondibile del Classico, dell´autore orgogliosamente entrato nel Canone Occidentale.