MARCO LODOLI, la Repubblica 4/9/2010, 4 settembre 2010
PER TENERLI CI VUOLE CARISMA MA COSÌ PRIMA O POI SCAPPANO
Le classi si affollano, diventano una calca ingovernabile di attese, speranze, tensioni, distrazioni. Trenta e passa studenti per classe sono un problema che nessun insegnante può risolvere, o meglio: sono trenta problemi trascurati, trenta storie affogate nell´indifferenza. Soprattutto nelle periferie delle nostre grandi città l´insegnante deve necessariamente svolgere un doppio lavoro: spiegare la sua materia, farla entrare in un modo o nell´altro nelle teste dei suoi recalcitranti studenti, programmare, interrogare, correggere, il solito lavoro, insomma, anche se ogni anno diventa più difficile mantenere viva un´attenzione e raggiungere dei risultati. E poi c´è il fattore umano.
Un tempo gli alunni erano cognomi su un registro, colonne di caselle da riempire di voti per poi tirare una media finale. Oggi questi ragazzi si sono guadagnati un volto, un nome di battesimo, vogliono essere ascoltati perché a casa i genitori hanno troppo da fare, perché la televisione non li ascolta, tacciono perché vogliono parlare e dire le cose più vere, parlano e vogliono tacere perché l´adulto li comprenda solo da uno sguardo. Sono complicati, camminano sul bordo, sono piccoli e vorrebbero essere grandi e per questo spesso si fanno del male, hanno attorno vicende spaventose, si sentono perduti. Il mondo oggi è un tritacarne, solo i ragazzi più tosti riescono a cavarsela, e a un prezzo altissimo. Gli altri tremano. E spesso lasciano il banco indecisi su quale direzione prendere: a volte imboccano la porta e scompaiono per sempre, a volte arrivano alla cattedra e chiedono aiuto, raccontano, si sfogano, aspettano una parola giusta. Il livello di confusione e di dolore è altissimo, basta un nonnulla e il ragazzo è fuori dalla scuola, fuori dalla sua età, fuori da quello che gli spetta. Per questo trenta studenti per classe sono troppi.
I nomi tornano a essere cognomi, le storie si trasformano in grida o in silenzio. E a dicembre la classe si spopola, avviene una sorta di selezione naturale ferocissima. I più deboli svaniscono nel nulla. Li chiami a casa, promettono di tornare, dietro la loro voce si sentono strilli oppure il rimbombo del vuoto. Promettono, ma non tornano più. Non si sa dove finiscono, su qualche muretto, in compagnia di balordi, oppure ingrassano guardando la televisione dalle undici di mattina a notte fonda.
Oggi non si può più tenere una classe esageratamente numerosa. I vasi di coccio si sbriciolano in due mesi. E poi c´è qualche straniero che non capisce ancora perfettamente la lingua, qualche disabile che andrebbe seguito con più affetto, con più cura, e poi ci sono tutti gli altri che non ce la fanno proprio a stare sei ore ammucchiati in un´aula scrostata, stretta, soffocante. L´insegnante apre il libro, prova a spiegare la sua lezione, ma lo capisce subito che non ce la farà mai a tenere quelle energie unite e concentrate sulle sue parole. La voce si abbassa impercettibilmente, le frasi si accasciano a poco a poco. Ci vuole carisma, ci vuole fascino, bisogna essere degli ipnotizzatori: ma il prof-pastore sente che le trenta e passa pecore se ne vanno, che nessun fischio le può trattenere. E gli dispiace, perché la scuola è ancora un recinto sicuro, in posto caldo dove crescere: fuori per chi si allontana e si perde ci sono solo i lupi.