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 2010  settembre 04 Sabato calendario

IL MALE NON OSCURO DELLE BANCHE ITALIANE


Superata la crisi Greca di metà aprile, superati gli stress test, superate le semestrali, con utili a volte superiore alle attese, incassati attestati universali di solidità, è lecito chiedersi perché i titoli delle nostre maggiori banche (Unicredit, Intesa, Ubi, Banco Popolare e Mps) siano ancora sotto i livelli di primavera (-16%, in media), e più penalizzate delle banche europee (-10% rispetto al settore). Per non parlare del -60% rispetto ai massimi del 2007. Il nostro sistema bancario avrebbe superato la crisi finanziaria meglio degli altri, sarebbe tra i più solidi grazie al maggior radicamento territoriale, meno finanza e più attività tradizionale; ma la Borsa non ci crede e non sembra apprezzare la virtù dei nostri banchieri.
Il male però non è così oscuro; né la Borsa irragionevole. Basta guardare le semestrali per avere più di un dubbio sulla capacità delle nostre banche di generare profitti, sulla qualità degli utili, e sulla redditività prospettica. Rispetto al 2009, nessuna banca ha ridotto significativamente i costi operativi: come se pensassero che presto i ricavi torneranno quelli di prima. Ma i bei tempi della finanza sono finiti, almeno per un po´. Così l´aggiustamento dei costi, che l´industria ha già fatto rapidamente, per le banche rimane sulla carta.
Nessuna delle banche ha aumentato i prestiti alla clientela: radicamento o meno, per tutte è crescita zero. E non perché la rischiosità dei prestiti sia aumentata, almeno stando alle valutazioni delle stesse banche: infatti, in 4 casi su 5 le rettifiche su crediti sono diminuite rispetto al 2009. Tuttavia, le cinque banche hanno aumentato complessivamente la raccolta presso la clientela (a tassi irrisori) di ben 57 miliardi; smentendo clamorosamente ogni ipotesi di crisi di liquidità. Ma questo risparmio non è servito per erogare prestiti, ma per gonfiare di 64 miliardi il portafoglio dei titoli per la negoziazione (prevalentemente titoli di stato). L´obiettivo di puntare ai ricavi da trading si è rivelato però un boomerang: tutte hanno perso rispetto al 2009. Rimane il lucro del differenziale sui tassi, misero ma sicuro. Un terzo obiettivo è meno ovvio: migliorare i ratio patrimoniali riducendo il rischio delle attività. Un miglioramento di facciata, perché non serve a sostenere i maggiori rischi che il finanziamento della ripresa economica necessariamente implica.
Quanto agli utili, in media un quarto dipende dall´aumento delle commissioni tradizionali (si va dal 17% dell´utile operativo di Intesa, al 49% di Mps): per far reggere i conti, dunque, la ricetta è sempre quella di spremere il risparmiatore.
I criteri usati per valutare le attività sono poco convincenti. L´inversione di tendenza nelle rettifiche sui crediti fa a pugni con l´aneddotica di ristrutturazioni e imprese in difficoltà. Dubito si siano utilizzati criteri prospettici, più opportuni. Una parte considerevole dei titoli in portafoglio (41%) è classificata fra quelli per i quali non è richiesta una valutazione ai prezzi di mercato (e non rientra nell´ambito degli stress test). Se i principi seguiti per la loro valutazione sono in linea con quelli usati per l´avviamento (mediamente, pari a oltre un terzo del patrimonio), c´è da sorridere. Per non svalutare gli avviamenti (anche se non inciderebbero sui ratio di vigilanza) si ricorre infatti all´argomentazione, tanto abusata quanto pretestuosa, della miopia degli investitori: dimenticandosi che forse le valutazioni attuali non sono eccessivamente sacrificate, ma quelle dell´ultimo decennio eccessivamente gonfiate.
Ma se il "mark to market" delle attività è una parolaccia, all´occorrenza può tornare utile per i debiti. Così, dei 306 milioni di utile ante imposte del Banco Popolare, 259 derivano dalla rivalutazione contabile di passività del Banco, cadute di valore perché il merito creditizio del Banco è diminuito: se dunque il debito vale meno perché aumenta la probabilità di default, per il Banco è un aumento dell´utile.
Se queste sono le nostre magnifiche cinque, non sorprende che la Borsa guardi altrove.