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 2010  settembre 03 Venerdì calendario

ECCO CHE FAREI SE FOSSI PAPA



Capisco che una ipotesi del genere da me avanzata potrà far sospettare che un colpo di sole abbia stravolto il mio cervello. Se ne leggono tante… beccatevi anche questa! Né intendo dar lezioni. Chi sono io per dare lezioni?

Scrivo «papa» in lettera minuscola, perché è una supposizione non solo astratta, ma assurda. Prima di essere papa dovrei esser santo, ma sono tutt’altro.
Però non sto giocando: ho scelto il Sacerdozio perché amo Gesù Cristo e Cristo a ma lasua Chies a , che è l’umanità da integrare in Lui, il Dio fattosi uomo per integrare l’uomo in Dio, ogni uomo nel rispetto della sua libertà che lo fa uomo. Per questo la Chiesa è la Autorità morale più elevata nel mondo.

Debbo subito dire che «credo perciò parlo» (Salmo 115). Come Mosé, il papa è uomo di Dio. La sua fronte è irradiante perché parla con Dio. Ne ho visti sette di papi. «Sento Gesù — mi ripeteva San Giovanni Calabria — sento Gesù che piange: la mia Chiesa, la mia Chiesa!». E quell’angoscia mi scuote e mi anima ancora. Perché la Chiesa sta perdendo l’umanità? Perché sta trascurando la sua vera missione: annunciare la Incarnazione del Verbo. Ne furon affascinati gli Angeli a Betlemme, i pastori, i Magi e lo stesso Erode ne tremò. Da millenni la filosofia, la teologia, l’arte e le scienze ne riflettono la pienezza quale fonte culturale. Da sempre il mondo umano è in attesa alla ricerca del suo io e del suo sé. La risposta è nella incarnazione di Dio. Ma quanti oggi anche dall’Alto Magisteriale parlano sul come e sul perché Dio s’è fatto uomo? Non serafino, non cherubino, non arcangelo, né angelo, ma uomo! a Chiesa, la mia Chiesa — parlo della Chiesa di Roma — si è spesa nei secoli a inumanizzare soprattutto se stessa, poi a urbanizzarsi, poi a mondializzarsi, poi a ergersi come continuità del potere imperiale, un potere, il più verticalizzato, sul territorio, sulla giurisdizione, sullo spirito. Il potere di rito augusteo. Certo, la difesa della ortodossia, iniziata dall’imperatore Costantino con il concilio di Nicea nel 325 e poi, via via, fino al Vaticano II, fu l’argine entro il quale scorre più ricca e sicura l’acqua atta a rinverdire i pascoli ubertosi, dove pascere il gregge.

Il «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18) è, cioè, fondato sull’amore, sulla somiglianza a Cristo, più che su meriti carrieristici. Tutti possediamo la potenza dell’amore: è ciò che ci fa simili a Dio. Impersonare il Verbo significa amare come Lui ci ama.

Ho scorso la lista dei papi: 269 più qualche antipapa. Ho notato che nei primi cinquecento anni di Cristianesimo, su 52 papi, ben 49 furono dichiarati santi. Dal 500 al 1000, su 92 papi solo 25 furono santi. Dal 1000 al 1500, su 75 solo uno (Celestino V). Dal 1500, su 52 papi, solo due furono canonizzati. Mi par di dedurre che l’estensione del governo dal solo spirito alle faccende del restante uomo, non giova alla valutazione della santità nei papi. Se io fossi papa... Lungi da me il prurito di obnubilare il fasto di un papato bimillenario! Neppure è nei miei gusti chiedere perdono per errori del passato. Mi basta la mia miseria. «Le cose vecchie son passate, ecco ne son nate di nuove», insegnava Paolo ai cristiani, impegnato nel bailamme di Corinto (2 Cor 5,17). Passato il Triregno, passati i flabelli, la sedia gestatoria, passati i caudatari e la sacra pantofola, passati gli altri folclori, passerà anche la guardia svizzera e tutto l’apparato curial diplomatico, buono per laici maturi ed opportunamente professionalizzati. Non si può mettere in «dubbio» la consegna che Cristo conferì a Cefa, un nome che Gesù affibbiò a Simone, un poveruomo, un prodigio ripetuto in ogni tempo. Cefa, un nome programma! In ebraico Kefas equivale a rupe, pietra, macigno. «Su questo macigno edificherò la mia Chiesa», un macigno d’amore. Ad integrazione di queste vanno richiamate quelle sul lago di Tiberiade. Gesù risorto appare agli Apostoli: tira da parte Pietro e per tre volte insiste sulla stessa domanda: «Pietro, mi ami?». Alle tre risposte, Gesù rimarca la stessa consegna: «Pasce, agnos et oves meas», evidenziando, a mio parere, due precise volontà: a) per conquistare la umanità alla verità, Gesù conferisce una investitura uguale per tutti i dodici: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi… » (Gv 20,21); b) a Pietro Gesù affida agnos et oves da governare mediante l’amore, solo l’amore nel nome di Gesù Dio che è solo amore anche a costo di pagarlo con tutta la vita.

Una mozione: è compatibile la «scomunica» con il pasce? Una volta, racconta Gesù, una pecorella uscì dal serraglio dove stavano tutte le altre pecore fedeli e se ne andò per i fatti suoi, lungo sentieri tortuosi, tra siepi e spineti, dispersa nelle immondizie a cercar fili d’erba. Il pastore abbandonò il gregge nel recinto e non si diede pace finché non ritrovò la smarrita. Se la caricò intorno al collo e la portò di peso, senza percuoterla, tra le altre che quiete brucavano la buona erba coltivata nel recinto domestico (Mt 18,12).

Se io fossi papa? Scenderei da solo, senza bardature a star con la gente. Scenderei non da sacri palazzi, ma da un semplice appartamento come un buon parroco. Vorrei venir eletto, Vescovo, dai Vescovi (oggi con i sistemi telematici non è problema), i Vescovi poi li farei eleggere dal popolo cristiano. Eliminerei il Cardinalato e tutte le disparità di sapore feudalesco.

Un giorno del 1978 mi trovavo a Belem, in Brasile. Quale strano esotico, fui invitato ad una festa nella grande piazza antistante la Cattedrale. Caldo intenso, moltissima gente multicolore, bambini, giovanotti, fanciulle ed anziani. In mezzo a loro due Arcivescovi scamiciati e saltellanti a braccia alzate in un coro, più o meno, all’unisono, pregavano e ballavano tutti insieme. Stupito ed infervorato mi dissi: «Questa è la vera piazza San Pietro». Da allora la Chiesa cattolica in Brasile si è frantumata in molte fedi sempre cristiane: Assemblea del regno di Dio; Chiesa Battista; Chiesa del settimo giorno; Chiesa quadrangolare, ecc. Ora la Chiesa di Gesù si sente costretta a riconoscersi in un ecumenismo più cristianamente realistico. In altre parole, oggi in Brasile con il Conic (Concilio nazionale delle Chiese Cristiane del Brasile) Cattolici, Anglicani, Presbiteriani, Luterani, Ortodossi ecc., nel rispetto delle singole concezioni ecclesiastiche, si riconoscono tutti convocati da Cristo nell’unità dell’intento di trasformare la realtà sociale nello spirito del Vangelo. l Terzo Mondo cristiano, quindi, scavalca il primo, quello europeo, ormai pseudo-cristiano, frantumato da eccesso di verticalizzazione in un’epoca che si evolve verso la globalizzazione di giustizia sociale e di sistema politico, nella quale il cristianesimo ha ancora il meglio da dare per tutti in civile compostezza e cultura, sempre che nelle banche, nello sport, nelle piazze non prevalga Gheddafi con i suoi berberi islamici. È l’ora che tutta l’Europa Cristiana, Russia compresa, si raccordi in un grido solo: «Siamo cristiani!». Vorrei vedere se questo grido partisse univoco da una Roma diventata l’Onu del Cristianesimo! Vorrei vedere se quegli inconsapevoli nostri rappresentanti di Bruxelles potrebbero ancora opporsi a chiamare Cristiana l’Europa Unita; se oserebbero strappare i crocifissi dai locali pubblici!

Una Onu della fede cristiana con sede al Quirinale di Roma, uno splendore del XVI secolo costruito da due papi, da riscattare (con bella maniera) a una funzione di omologazione cristiana. Tutti in uno, con l’annunzio da declamare instancabilmente in piazza San Pietro, nuovo Tempio della Gerusalemme universale. Voi — vescovi e papi e movimenti cristiani — siete la luce del

Imondo, amate i vostri nemici. Guarite gli infermi, resuscitate i morti, sanate i lebbrosi… Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Tutto è possibile a chi crede. Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Dare a Dio quel che è di Dio significa amare Dio così lucidamente e intensamente da sollevare a Dio sia Cesare che i suoi consoli. Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati. Perdonate e vi sarà perdonato. È inevitabile che avvengano scandali. Il regno di Dio è dentro di voi. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito. Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma per salvarlo. «Amatevi l’un l’altro» (Gv 15, 14).

Se io fossi papa, anziché fare visite lampo con costose comparse oceaniche, mi fermerei nei cinque continenti qualche mese e, magari, qualche anno a vivervi come facevano Pietro, Paolo e gli altri, trattando con tutti il meglio e più opportuno per quel Paese, quella città, quei costumi. Permarrei soprattutto in Africa, perché sono convinto che da là ripartirà la salvezza per tutto il mondo. Non vorrei con me nessun dignitario, né cardinali, ma truppe di medici, truppe di infermieri e di volontari (ricordo che per una simile proposta, Fidel Castro era pronto a darmi duecento medici cubani). Io papa in mezzo a loro, in pantaloncini, in testa un Borsalino (ho quello già usato da papa Giovanni Paolo II, regalatomi in cambio della chiave del Cenacolo, quella che mi consegnò il sindaco di Gerusalemme Teddy Kollek dopo che lo ebbi restaurato, allora ridotto a pollaio, dove nacque la Chiesa cristiana dell’amore), sempre sul cuore il gran crocifisso, ma non d’oro. Mi circonderei permanentemente di bambini. Mangerei quello che mangian loro, insegnerei arte e mestieri, e a mangiar meglio; con loro, coltiverei la terra che a tutti è in grado di dar alimento, come ha stabilito il Signore quando la creò. Insegnerei, insegnerei. Mai sgriderei i vescovi e i sacerdoti se si sposassero. Manco proibirei la pillola anticoncezionale. L’Africa sa già quant’è orrendo l’aborto. Mai, per nessun motivo, applicherei l’istituto della scomunica. Nulla è più avverso allo spirito del Signore, sempre misericordioso, buono e perdonatore, salvo le ipocrisie e il falso fariseismo. Canterei con loro che «grande è il Signore e degno di lode; la sua grandezza non si può misurare. Paziente e misericordioso è il Signore. Buono è il Signore verso tutti; la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Salmo 144).

Cristo è l’umanizzazione di Dio. Perché soprattutto in Africa? Perché l’Africa ha pagato per i peccati di tutta l’umanità, quelli dei cristiani, suoi secolari oppressori, Africa continente ed Africa in tutti i continenti dove i neri, a spese della loro dignità, hanno creato ricchezze per i ricchi. Se fossi papa, certo, non abbandonerei Roma quale mia diocesi; e vi scaricherei le ansie di ogni parte del mondo visitando, non solo le mie parrocchie romane ma, insieme ai sacerdoti e ai vescovi e, senza clamori, anche quelle dell’Italia intera, che è un Paese ricco di generosità, sensibilità e interessi. Così Roma diventerebbe un vero caput mundi. Via, dunque, le barriere diplomatiche e l’apparato monarchico, Nunziature comprese, costoso residuato di cesarismo.

E il Vaticano? Ne farei un oracolo di Delfi per ogni sapere. Per qualche tempo l’ho frequentato: puzza di sodoma e di arroganza! Sostituirei le sottane paonazze con professionisti laici e sposati. Una pulizia la farei anche in certe Curie di certe Diocesi. Del Vaticano farei una cittadina del Sapere universale, storico, umanistico (umanesimo integrale e transumanesimo), biologico e medico, etico, politico, religioso con regole di accessibilità corretta, libera ed universalizzata per studiosi di ogni classe e credo.

Insegnate, insegnate, guarite, guarite gli ammalati, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi — oggi cancerosi — gratis avete ricevuto, gratis date. Questo è il comando del Signore (Mt 10).

E la Basilica di San Pietro? Costringerei Gesù a scendervi per ripredicare la buona novella, quella autentica: Maranathà, vieni Signore Gesù! Un Gesù attuale, personalizzato nel papa e nei suoi Vescovi: primus inter pares nella santità che, come il Cristo, fa miracoli di dottrina e di serenità e di salvezza del corpo, dell’intelletto e dello spirito. Inviterei i responsabili di tutte le confessioni cristiane ad abitare in Roma, in unità d’amore come Gesù ha insegnato. Le differenze di opinioni non possono dirimere il precetto principale anzi unico del Cristianesimo: «Amatevi l’un l’altro, questo è il mio precetto». Anch’io, come Giovanni Paolo II, mi chiuderei a lungo nel confessionale con la consapevolezza di essere un uomo comune, anche se, in quanto papa, allenato alla santità. Memore dell’ammonimento frequente di don Calabria: «Non c’è età, né dignità, né santità che ti possano garantire dalle debolezze della carne», assolverei tutti da qualsiasi peccato, come faceva Gesù che non chiedeva numero e descrizione, gli bastava l’ammissione, come fecero l’adultera, Zaccheo e Disma, il ladro sulla croce. Anzi Gesù andava a tavola con peccatori e peccatrici, sfidando lo scandalo dei preti d’allora.

E se uno mi chiedesse di poter fare la comunione, pur essendo divorziato? Gli chiederei se, chiusa la prima intesa tra le parti, perché il matrimonio è un contratto tra due, si sente ora sicuro di amare e di essere amato. Se sì, gli direi di fare la comunione quale sacro cemento del vero amore tanto più sacro quanto più sofferto.

Chi mi legge, il resto se lo immagini, ma non ci speri, perché papa non lo sarò mai.