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 2010  settembre 03 Venerdì calendario

SCHEDONE SAKINEH


Sakineh Mohammadi-Ashtiani, iraniana di Osku, 43 anni, due figli (Sajad, un ragazzo di 22 anni che fa il controllore sugli autobus, e Farideh, una giovane di 17), da quattro anni è rinchiusa con altre 25 donne nel reparto adultere del carcere di Tabriz, nell’Azerbaijan iraniano. Accusata di adulterio e di complicità nell’omicidio del marito, nel 2007 è stata condannata dalla Corte suprema iraniana alla lapidazione, il supplizio previsto per le adultere.

Nel 2005 Sakineh aveva confessato, il suo avvocato dice dopo essere stata torturata per due giorni, di aver avuto rapporti sessuali con due uomini, il cugino Nasser e un conoscente, poi aveva ritrattato. Per le sue relazioni extraconiugali era stata frustata 99 volte davanti a suo figlio (Nasser aveva avuto 40 frustate, l’altro uomo venti). Quando, nel settembre 2006, Nasser era stato accusato di omicido, Sakineh fu accusata di concorso in omicidio. I figli della donna avevano perdonato entrambi (secondo la Sharia quando una vittima o i suoi parenti perdonano, le condanne devono essere più lievi), ma un giudice aveva riaperto il caso cambiando il capo d’imputazione di Sakineh da «relazione proibita» in «atto sessuale fuori dal matrimonio», reato che comporta la lapidazione.

L’11 agosto scorso nel corso di “20.30”, programma della tv di Stato irananiana molto seguito, il regime ha mandato in onda la presunta confessione della donna: avvolta da un chador nero che le copriva il volto tranne un occhio e il naso e con un foglio di carta tra le mani, Sakineh ha parlato in azero (sua lingua madre, il doppiaggio in farsi le copriva la voce) della sua complicità nell’omicidio del marito. La donna ha raccontato di aver avuto una relazione con Nasser, che le aveva detto di volerle uccidere il marito. Lei pensava fosse uno scherzo finché un giorno non lo vide arrivare in casa sua con materiale elettrico, fili e guanti: «Poco dopo – ha concluso la donna - ha ammazzato mio marito fulminandolo».

Il 6 agosto in un’intervista al Guardian Sakineh aveva detto: «Quanto il giudice ha pronunciato la sentenza, non ho nemmeno capito che ero stata condannata alla lapidazione perché non conosco il significato della parola rajam. Mi hanno chiesto di firmare la condanna e l’ho fatto ma quando sono tornata in prigione e le mie compagne di cella mi hanno detto che sarei stata lapidata ho perso i sensi».

Le parole della donna al quotidiano inglese sono state confermate dall’avvocato Mohammad Mostafaei, il legale che per primo aveva richiamato l’attenzione internazionale sul caso. Per il suo interessamento alla vicenda Mostafaei ha rischiato l’arresto e solo scappando in Turchia ha evitato il carcere. Sua moglie e il fratello di lei, invece, sono finiti in manette.

Grazie anche alla mobilitazione internazionale la condanna a morte di Sakineh è stata sospesa, non revocata. Più volte i secondini del carcere le hanno detto: «Preparati, prima della preghiera dell’alba morirai», ma la lapidazione non è mai avvenuta. «Si stanno vendicando di mia madre perché sono furiosi per la risonanza mondiale del caso. Più arriva pressione dall’estero, più si rifanno su di lei», ha detto al Guardian Sajad, il primogenito della donna. L’ultimo incontro di Sakineh con i figli e con il suo nuovo legale, l’avvocato Houtan Kian, risale a prima dell’11 agosto. In un’intervista a Bernard Henry Lévy il ragazzo ha raccontato che la mamma prende molti farmaci antidepressivi e subisce continui interrogatori da parte dei servizi iraniani.

Secondo Sajad il responsabile dell’omicidio del padre è un certo Taheri, ora libero. «È il padre di una bambina di tre anni e ha pianto molto davanti a noi – ha raccontato - Mia sorella e io non abbiamo voluto essere la causa della sua esecuzione», questo perché la legge iraniana consente la lapidazione solo quando i parenti della vittima ne fanno richiesta.

Il portavoce del governo iraniano ha fatto sapere che «la sentenza è in corso di riesame» perché «per le condanne più gravi è prevista una procedura più meticolosa: delle due condanne inflitte a Sakineh Ashtiani - una per concorso in omicidio, l’altra per adulterio - la prima è in dirittura d’arrivo, la seconda in corso di riesame». I documenti relativi ai precedenti gradi del processo a Sakineh sono scomparsi: alcuni sono stati rubati dallo studio dell’avvocato Kian, altri sono spariti dall’ufficio giudiziario di Tabriz.

In Iran l’adulterio è un reato punibile dal codice penale: secondo la legge dell’Hodoud uomini e donne non sposati che commettono adulterio rischiano cento frustate, i coniugi possono essere invece condannati a morte. Il condannato è avvolto da capo a piedi in un sudario bianco. La donna è interrata fino alle ascelle, l’uomo fino alla vita. Un carico di pietre viene portato sul luogo e boia incaricati o semplici cittadini autorizzati effettuano la lapidazione. La norma stabilisce che «la dimensione della pietra non deve essere troppo grande per uccidere il condannato da uno o due tiri, e non deve essere troppo piccola per essere definita una pietra». I condannati alla lapidazione che riescono a dissotterrarsi hanno salva la vita. Dopo una dura campagna internazionale, nel 2002 l’Iran aveva sospeso le lapidazioni, riprese con il presidente Mahmoud Ahmadinejad.

La prima mobilitazione a favore di Sakineh è stata organizzata dalle associazioni femministe francesi. Libération, La Règle du Jeu, Elle hanno promosso l’iniziativa “Lettera a Sakineh”: la campagna ha raccolto la solidarietà di Bernard Henri Levy, del sindaco di Parigi Bertrand Delanoe, del filosofo Edgar Morin, di Jane Birkin, di Charlotte Gainsbourg ecc. Alla protesta ha partecipato anche Carla Bruni Sarkozy che in una lettera a Sakineh più volte pubblicata dai giornali francesi ha scritto: «Dal fondo della vostra cella sappiate che mio marito difenderà la vostra causa senza sosta e che la Francia non vi abbandonerà». Il quotidiano ultraconservatore iraniano Kayhan in un articolo intitolato “Le prostitute francesi fanno cagnara intorno ai diritti dell’uomo” ha definito la premiere dame francese «fahisha», «puttana», ricordando che Carla Bruni ha avuto «relazioni illecite con diverse persone e ha provocato il divorzio di Sarkozy dalla seconda moglie Cecilia (falso). Il passato della Bruni mostra chiaramente il motivo per il quale questa donna immorale sta dalla parte di una donna iraniana che è stata condannata a morte per adulterio e per complicità nell’omicidio del marito. E per questo, lei stessa merita di morire». Non è la prima volta che Hossien Shariatmadari, direttore di Kayhan, considerato l’uomo di fiducia della Guida della rivoluzione, insulta Carla Bruni: per il giornalista iraniano la «cantante italiana» era già una «prostituta» quando usciva, prima del matrimonio, con il presidente «playboy» di Francia.

Parigi ha inviato una protesta formale a Teheran. Dopo la nota francese, l’Iran ha invitato gli organi di stampa a criticare la politica estera di certi Paesi e il comportamento dei loro responsabili «senza insultare». I rapporti tra Francia e Iran sono comunque tesi da molti mesi. A complicarli c’è stata anche la vicenda di Clotilde Reiss, l’universitaria francese arrestata a Teheran durante una manifestazione di protesta contro il regime con l’accusa di essere una spia e rilasciata nel maggio scorso. Il presidente Sarkozy ha detto di considerare Sakineh sotto la protezione francese, poi ha incaricato il ministro degli Esteri Bernard Kouchner di chiedere ai 27 paesi dell’Unione europea l’impegno a varare sanzioni nel caso la sentenza di morte contro la donna fosse eseguita.

Anche l’Italia si sta mobilitando per Sakineh. Un’immagine col volto della donna è stata srotolata in piazza del Campidoglio a Roma. Il volto dell’iraniana compare anche all’ingresso di Palazzo Chigi e sulla facciata del ministero delle Pari opportunità. I ministri Carfagna, Gelmini, Meloni e Prestigiacomo hanno accettato di essere intervistate e fotografate insieme per il settimanale A per esprimere la loro vicinanza alla donna.