Piero Bianucci, La Stampa 3/9/2010, 3 settembre 2010
HAWKING E LA CREAZIONE «SENZA DIO»
Non c’è bisogno di un Dio creatore dell’universo. Basta un sussulto della forza di gravità a generare tutto ciò che osserviamo. Lo dice Stephen Hawking, il più famoso degli astrofisici, già titolare della cattedra che fu di Newton. E’ la tesi del suo ultimo libro, The grand design, il grandioso progetto, in uscita il 9 settembre.
Un’opinione che non farebbe tanto scalpore se non contraddicesse ciò che Hawking sostenne 22 anni fa in un altro libro divulgativo, Breve storia del tempo, e soprattutto se non fossimo alla vigilia di una visita di papa Benedetto XVI nel Regno Unito. Da mezzo secolo paralizzato su una carrozzina, costretto a comunicare per mezzo di un sintetizzatore vocale, protagonista dei rotocalchi quando nel 1995 lasciò la moglie madre di tre suoi figli per «fuggire» con l’infermiera Elaine Mason che lo assisteva, Hawking riflette da tempo non solo sulle leggi che regolano l’universo ma anche sulla possibilità (o necessità?) che all’origine di tutto l’esistente ci sia un Dio. In ciò segue le orme di Einstein, che nella seconda metà della sua vita andò alla vana ricerca di una teoria capace di spiegare ogni aspetto dell’universo e almeno un paio di volte fece riferimento a Dio: prima per mettere in crisi la meccanica quantistica e il suo intrinseco probabilismo («Dio non gioca a dadi»), poi per domandarsi «quanto fu ampia la libertà di scelta di Dio nella costruzione dell’universo», interrogativo in sé provocatoriamente contraddittorio: un Dio condizionato da leggi fisiche sarebbe un dio dimezzato.
Nel 1998, in sette lezioni sul futuro della scienza tenute a Cambridge, Hawking espose quella che all’epoca sembrava la migliore approssimazione di una «Teoria del Tutto». Nelle battute finali riformulava a modo suo la domanda di Einstein: «La teoria unificata ha una forza tale da determinare la sua propria esistenza? O ha invece bisogno di un creatore?». Trascorsi dodici anni, quello che allora era un dubbio è diventato certezza: la Teoria del Tutto c’è, ed è autosufficiente, dunque Dio non serve.
Per la fisica classica l’universo era infinito ed eterno. Due prerogative di Dio. Già questo era un problema, e come tale lo avvertì proprio Newton, che dedicò alla teologia, non alla fisica, la maggior parte dei suoi studi. Verso il 1930 l’astronomo Edwin Hubble scoprì che l’universo si espande come se tutto fosse partito da una primordiale esplosione di energia che ha poi generato le stelle e le galassie in fuga. Dunque l’universo ha un inizio, non è sempre esistito. E’ la teoria del Big Bang, che in qualche modo fu anticipata da un religioso belga, padre George Lemaitre, parlando dell’esplosione di un «atomo primordiale».
Un po’ per questa matrice religiosa, un po’ perché il Big Bang sembrava una forma di «creazione» conciliabile con il racconto della Bibbia, negli Anni 50 la Chiesa cattolica, tramite papa Pacelli, si espresse a favore di questa teoria. Il Big Bang, in fondo, non escludeva che un Dio creatore avesse, per così dire, acceso la miccia. Semmai era più difficile spiegare l’universo eterno e infinito di Newton.
Nel 1964 il Big Bang ebbe una prova sperimentale decisiva con la scoperta della radiazione cosmica «fossile», cioè il calore residuo lasciato dall’esplosione originaria. Nei decenni successivi teorie fisiche più generali sono riuscite a spiegare in modo quasi completo il mondo subatomico e l’universo nel suo insieme. Oggi la migliore offerta degli scienziati è la M-Teoria, che comprende in sé la teoria della supergravità e quella delle stringhe. Hawking, dopo iniziali perplessità, ha sposato la M-Teoria. Torna dunque il problema: necessità o superfluità di Dio? Se, come suggerisce Hawking, la teoria è autosufficiente, di un creatore non c’è più bisogno.
Quando Laplace presentò il suo Trattato di meccanica celeste a Napoleone Bonaparte, l’imperatore osservò: «Signor Laplace, mi hanno detto che in quest’opera sull’Universo il Creatore non è citato neppure una volta». «Sire, non ho bisogno di questa ipotesi», fu la risposta di Laplace. Entrambi erano di parola pronta. «È una bella ipotesi, che spiega molte cose», ribatté Napoleone. E Laplace: «Certo, spiega tutto. Ma non permette di predire niente».