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 2010  settembre 03 Venerdì calendario

SCHIFANI E LE CONSULENZE AL RICICLATORE SETTE ANNI VISSUTI PERICOLOSAMENTE

La lettera, inviata dalla Procura distrettuale antimafia di Bologna ai colleghi di Palermo porta la data del 6 luglio 1993. Poco e più venti righe per chiedere notizie su nove nomi. Nove siciliani che secondo la Guardia di Finanza avevano avuto “un ruolo decisivo nella predisposizione degli accordi tesi” all’acquisizione dell’Urafin, una holding con partecipazioni superiori a 200 miliardi di lire, fallita pochi mesi prima. L’elenco è aperto dalla voce: “Avvocato Schifani di Palermo” il quale, scrivono i pm, “avrebbe curato la fase contrattuale” dell’affare.
Una cordata
senza capitali
UN BUSINESS sospetto, secondo gli investigatori, visto che uno degli acquirenti, l’imprenditore di Villabate Giovanni Costa - oggi condannato a nove anni per riciclaggio - sembrava il capocordata “di un gruppo di palermitani, alcuni dei quali pregiudicati, sprovvisti di attitudini patrimoniali idonee” per chiudere la compravendita. Ancheperquestoipmemilianivogliono sapere se i nominativi citati nella missiva siano “già comparsi in indagini aventi come oggetto tentativi d’impiego di capitali di illecita provenienza”. Ecco, se si vuole davvero capire che tipo di riscontri stia cercandooggilaProcuradiPalermoalle parole del pentito Gaspare Spatuzza, bisogna partire da qui.Dalleprimeinchiesteincui spunta il nome dell’attuale presidente del Senato. Spatuzza infatti sostiene che Schifani, 18 anni fa, è stato uno dei tramite tra i fratelli Graviano, i boss di Brancaccio protagonisti delle stragi del ‘92-93, e Marcello Dell’Utri. Un’accusa respinta con sdegno dalla seconda caricadelloStato.Macheadesso,alla luce di una serie di fatti ancora tutti da chiarire, non appare immediatamente implausibile.
Le vecchie carte
su Urafin
Il Fatto Quotidiano è andato a recuperare le carte della vecchia indagine sull’Urafin e quelle del processo a Costa. E ha scoperto, sentenze e verbali d’udienza alla mano, che davvero Renato Schifani ha assistito Costa per anni, seguendo come professionista gran parte degli affari per cui è stato poi condannato. Ieriabbiamoricostruitolecompravendite immobiliari di Costa nel villaggio turistico di Portorosa in provincia di Messina. E abbiamo raccontato come grazie a preliminari di vendita, poi sostituti da procure speciali, Costa sia riuscito a entrare in possesso di 60 appartamenti senza che il suo nome comparisse mai in atti ufficiali o nei rogiti. Anche perché il corrispettivo (quasi tre miliardi) veniva quasisempreversatoincontanti. Denaro che, stando alla sentenza che ha condannato l’imprenditore, sarebbe stato di proprietà della mafia. Per i giudici, Costa che attualmente è sotto processo in Appello, sarebbeinfattiunodegliultimicustodi del tesoro del celebre Mago dei Soldi, Giovanni Sucato. Un ragazzo di Villabate che con l’appoggio di Cosa Nostra ha raccolto a inizio 1990 decine miliardi di lire tra i siciliani, promettendo loro di raddoppiare nel giro di un mese il capitale investito. Costa, che pure ammettediessersidovutoconfrontare a causa del suo lavoro con boss di ogni ordine e grado, nega. Ma gli investigatori sono rimasti colpiti da un fatto. Già nel 2004, quandocioènessunoavevamai parlato di Schifani e dei suoi presunti rapporti con i Graviano, c’era chi invece raccontava che tra gli uomini d’onore interessati alla truffa del Mago dei Soldi comparivano pure i boss stragisti di Brancaccio. Anche per questo la storia di Costa, dipinto dalla sentenza come un uomo legato al clan Montalto di Villabate (paese quasi confinante con il quartiere Brancaccio), è giudicata interessante. E loèancorpiùallalucediquanto emerge dai dibattimenti bolognesi sull’Urafin.
Il ritornello
del “a mia insaputa”
IN UN COLLOQUIO con Li-rio Abbate de L’espresso ieri l’imprenditore ha spiegato di aver avuto al suo fianco Schifani come avvocato sin dal 1986 (vedi articolo qui sotto). E ha aggiunto di averlo a lungo stipendiato conunmensilediduemilionidi lire al mese.
Poi Costa, che non è un pentito, si è inalberato ricordando che Schifani nel 2007, quando fu convocato dalla sua difesa in aula come testimone a discarico, era sembrato prendere le distanze da lui. Tanto da arrivare a sostenere di essere stato nominato “a propria insaputa” consigliere di amministrazione della Alpi assicurazioni (incarico poi rifiutato), una delle società partecipate dall’Urafin. Per Costa invece quella nomina, che risale al 21 dicembre 1992, sarebbe stata espressamente richiesta da Schifani. L’attuale presidente del Senato, dopo l’omicidio di Paolo Borsellino del 19 luglio, voleva infatti allontanarsi da Palermo. Probabilmente, dice l’imprenditore, per paura.
Fatto sta che Schifani segue tutte le fasi dell’acquisto dell’Urafin, un gruppo che a quell’epocafacevacapoall’expresidente del Bologna calcio, Tommaso Fabbretti. Lo fa a Palermo, a Milano e a Bologna. In Sicilia, Costa tratta a lungo con i rappresentati della Parabancaria Cosulting, di proprietà della famiglia di Mario Niceta, un importante commerciante di abiti descritto da Massimo Ciancimino in un suo libro come “conoscente di Bernardo Provenza-no” e del padre don Vito Ciancimino.
L’affare si rivela
una truffa
PROPRIO COSTA , ricorda in un suo colloquio con Il Fatto Quotidiano, che il 23 maggio del 1992, il giorno della strage di Capaci lui e Schifani sono riuniti negli uffici della società dei Niceta. Un rappresentante della Parabancaria (Nicola Picone) entra così nella compagine che tenta di rilevare l’Urafin. Ma l’affare, secondo Costa, si rivela ben presto una truffa. Dopo aver concluso a Milano, con l’aiuto professionale di Schifani, l’acquisizione della partecipata Alpi Assicurazioni, il 22 dicembre Costa, il suo consulente e l’altro professionista che ha seguito l’affare, si presentano nella sede della compagnia, ma scoprono che un po’ ovunque ci sono i sigilli della Guardia di Finanza. Da molti mesi era in corsounaverificadelleFiamme Gialle di cui l’imprenditore sostiene di non essere stato avvertito. È l’inizio dell’inchiesta che negli anni porterà a ricostruire buona parte delle attività economiche di Costa, il presunto uomodeisoldidelMagodeiSoldi.Un’avventurastraordinariae per certi versi indimenticabile. Una storia che però la seconda carica dello Stato rammenta poco e male. Tanto che nel 2007, quando verrà chiamato a testimoniare, si limiterà ad assicurare di non essersi “mai occupato degli aspetti finanziari dell’affare”. E a dire: “Ricordo che a un certo punto io interruppi la mia attività complessiva nei confrontidelCosta.Manonricordo i motivi, ripeto, è passato del tempo”. E così oggi il problema di Schifani è soprattutto uno. C’è chi sostiene di ricordare per lui.