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 2010  settembre 03 Venerdì calendario

ECCO IL "PRIMO GIORNO" DI UN PROF FANTASMA

All’entrata del lungo corridoio della presidenza mi ferma una bidella. “Senta!” Chi cerco, di che cosa ho bisogno? Mi arresto, sorpreso. “Sono qui per il Collegio... devo... vorrei solo andare in bagno”. “Mi scusi professore”: non mi aveva riconosciuto. Sono passati anni da quando frequentavo la sede centrale e qui sono quasi un estraneo. Ma è la prima volta che mi accade a scuola che una voce da lontano, quasi imperiosa, mi chieda conto della mia presenza, del mio esser lì. E mi sembra che parli invece una voce interna, remota, suscettibile e altezzosa, che mi richiama, che mi rimprovera per qualcosa che sto facendo, che non ho fatto o devo fare. E che insinua il sospetto che io sia lì, ma che dovrei o potrei non esserci. Come un’emanazione kafkiana che mi abita dentro, pronta a mettere in discussione, arbitraria e implacabile, il mio ruolo e la mia identità. Come se la precarietà, anche per chi si sente tutelato, fosse un deserto in agguato, che si estende e ti lambisce.
È IL PRIMO Collegio Docenti dell’anno scolastico. La grande sala dell’auditorium è disegnata a mo’ di anfiteatro, ma con i gradoni dall’alzata minuscola che a star seduti ci fa presto venire il mal di schiena. È per questo, anche, che mi giro e rigiro sui sedili di plastica dura, per alleviare la penitenza. E mi guardo intorno, e vedo nel generale pallore qualche faccia abbronzata, soprattutto di alcune colleghe, e i volti che mi sono familiari, perché in questa scuola siamo cresciuti e invecchiati insieme.
DOPO IL LUNGO appello, che si svolge solitamente nel brusio generale, la preside si alza in piedi e ci invita a fare silenzio con la sua abituale, educata fermezza. Quindi ci mette al corrente di ciò che è accaduto durante l’estate, delle otto classi che inizialmente erano state tagliate dal Provveditorato e che una alla volta abbiamo riconquistato, tranne una, rimasta in bilico - ne deduco che tale assegnazione non è esattamente un’operazione algebrica - quindi prosegue con i vari punti all’ordine del giorno, parlando ininterrottamente per quasi tre ore, concentrandosi in particolare sulle molte novità che incontreremo. Mi sembra solo leggermente dimagrita. Si succedono i ministri, si fanno e disfano le sedicenti riforme, e lei è sempre identica a se stessa, pronta a rispondere con il medesimo entusiasmo, illeso, quasi infantile. Al contrario, noi professori siamo altro da ciò che eravamo. Ci penso, osservando i miei colleghi: è da tempo che ai collegi non interveniamo più. E che anzi proviamo quasi una sorta di pudore nel ritrovarci tutti insieme, un pudore fisico, una strana, curiosa timidezza. Un’emozione che si impasta con uno stato d’animo di tutt’altro segno, che non saprei dire, che va oltre la rassegnazione o la depressione, la rabbia, la de-motivazione o l’accidia. Un sentimento quasi di... felicità. Disperata. Paradossale. Simile in parte a quella di Winston Smith, protagonista di “1984”, che si era ribellato al potere e che dopo il carcere e la tortura finalmente comprende: “Due lacrime puzzolenti di gin gli sgocciolavano ai lati del naso... la lotta era finita. Egli era riuscito vincitore su se medesimo. Amava il Grande Fratello”.
E IL GRANDE FRATELLO
per gli insegnanti è il silenzio del potere, l’assenza e non la presenza di uno sguardo che li osservi. L’indifferenza dei media, l’insolenza della politica. Che col ministro Tremonti si aggrava fino all’improntitudine e all’offesa maramaldesca, ma che era presente anche coi governi di centrosinistra.
Abbiamo raccontato la scuola in questi anni concentrandoci sui ragazzi, sulla loro diversità e sul loro linguaggio, mentre pian piano i professori scomparivano. E ora che non ci sono più, rimossi dall’orizzonte della discussione pubblica, quando riappaiono sono come dei miti fantasmi, che sorridono ai loro uccisori. Più vecchi, più lenti nei riflessi, più accondiscendenti. Sindacalmente polverizzati, la più inverosimile delle categorie professionali, che si può prendere a cazzotti come un punching-ball, sicuri che non reagirà. Non si spiega altrimenti la sua inerzia dopo l’annuncio del taglio di otto miliardi in tre anni di Tremonti. Una cifra astronomica. Che in un altro momento avrebbe determinato una rivoluzione. E contro la quale ci si è mossi divisi e incerti.
COSÌ, QUANDO al collegio – giunto quasi al termine – vedo alzarsi la mano di un professore che un tempo si distingueva per la sua vis polemica, mi sembra per un momento di rivivere le infuocate assemblee di una volta. Ecco, chissà che dirà ora, mi domando. Ma è solo un attimo. Il mio collega ha fatto uno studio accurato del calendario e propone l’anticipo dell’anno scolastico di un giorno, per poterne incastrare un altro di vacanza nel ponte del 2 giugno. Tutto qui. L’assemblea, all’unanimità, approva.