Daniela Roveda, Il Sole 24 Ore 3/9/2010; Walter Riolfi, Il Sole 24 Ore 3/9/2010, 3 settembre 2010
BERNANKE: NO A BANCHE TROPPO GRANDI
«La lezione più importante che abbiamo imparato dalla crisi finanziaria è la necessità di eliminare istituti troppo grandi per fallire ». L’ha detto ieri il governatore della Federal Reserve Ben Bernanke di fronte alla Commissione parlamentare Financial Crisis Inquiry Commission che da un anno sta indagando sulle cause della crisi finanziaria esplosa nell’autunno 2008. Grazie alla legge finanziaria Dodd-Frank approvata quest’anno, la Fed ha oggi il potere di smembrare una società se la ritiene sufficientemente grande da mettere a repentaglio la stabilità del sistema finanziario. Bernanke ha tuttavia ammesso di aver sottovalutato nel 2007 la portata della crisi: «La Fed – ha detto – è stata lenta nell’identificare i rischi e a contrastare gli abusi nel mercato dei mutui subprime».
Bernanke ha però difeso la decisione più controversa presa dalla Federal Reserve durante il settembre rovente del 2008, quando decise di lasciar fallire la banca di investimento Lehman Brothers, una società a tutti gli effetti «troppo grande per fallire ». Il fallimento della Lehman, nell’opinione di innumerevoli economisti e dello stesso Bernanke, gettò infatti nel panico i mercati finanziari, accelerò la crisi e causò danni incalcolabili per l’economia americana. «Avrei fatto qualunque cosa per tenerla in vita – ha detto Bernanke –, ma sono stato costretto a concludere che nulla avrebbe potuto salvarla. La Lehman sarebbe fallita anche con l’aiuto del governo Usa, uno spreco di denaro pubblico ».
L’affermazione contraddice la testimonianza dell’ex-ceo della Lehman Dick Fuld, che di fronte alla stessa commissione ha accusato mercoledì la Fed di aver rifiutato gli aiuti alla Lehman pur concedendoli ad altre società, per esempio al colosso assicurativo Aig o alla banca Wachovia Securities, venduta con l’appoggio del governo alla Wells Fargo.
«La Aig aveva il collaterale per ripagare i prestiti pubblici perchè le sue divisioni non finanziarie erano in buona salute – ha risposto Bernanke –. Lo stesso non valeva per la Lehman ».
L’obiettivo della Federal Reserve è quindi non trovarsi mai più nella situazione di dover salvare un’azienda per il semplice motivo che è talmente grande da causare un rischio sistemico. La Banca Centrale in questi giorni sta disegnando una serie di parametri per determinare se una società finanziaria è troppo grande o fa uso eccessivo di strumenti finanziari rischiosi come i credit default swaps; in caso affermativo la Fed potrà costringerla a ristrutturarsi e vendere alcune attività per raggiungere una dimensione accettabile. Senza la cooperazione dei governi stranieri tuttavia il compito della Fed potrebbe essere arduo dato che molti colossi finanziari operano su scala globale. «La mia sensazione in ogni caso è che molte società finanziarie decideranno di propria iniziativa un ridimensionamento del rischio » ha detto il governatore.
Bernanke ha difeso la Banca Centrale dalle accuse di avere commesso il «peccato originale » di una politica di tassi di interesse bassissimi negli anni 2003 e 2004, incoraggiando di fatto la bolla speculativa nel settore immobiliare. «La politica monetaria non è lo strumento da usare per sgonfiare bolle speculative» ha detto Bernanke. Quello che ci vuole è maggiore supervisione e più regole: non erano disponibili prima della crisi, ma grazie alla legge Dodd-Frank ora ci sono. «Se avessimo avuto queste regole nel 2008 – ha detto Sheila Bair, direttrice dell’organo che assicura i depositi bancari Fdic, parlando subito dopo Bernanke – avremmo evitato il caos». Daniela Roveda • COSÌ LA FED RINNEGA IL LAISSEZ FAIRE - C’è un abisso culturale tra le Fed di Ben Bernanke e quella di Alan Greenspan di 5 anni fa. Ma c’è un salto anche tra il Bernanke di oggi e quello del gennaio 2006, appena insediatosi alla presidenza della banca centrale con lapresunzione che la politica monetaria – i tassi d’interesse e soprattutto il dosaggio della liquidità - potesse far fronte ad ogni crisi. «In genere – ha dichiarato ieri il presidente della Fed – le regole finanziarie e i controlli, più che la politica monetaria, offrono strumenti più adatti per correggere i problemi del credito». Un linguaggio rivoluzionario, se si considera che è trascorso appena un lustro da quando il suo predecessore dichiarò esattamente l’opposto: «In genere – spiegò Greenspan il 5 maggio 2005 – le regole del mercato hanno dimostrato di controllare i rischi molto meglio di quelle dei governi».
L’abisso culturale è stato creato dalla crisi del credito e dalla conseguente recessione. Ma, a differenza di Greenspan che ha sempre cercato di giustificare sè stesso, Bernanke ha formulato ieri, esplicitamente per la prima volta, un severo giudizio sul passato e anche una sorta di autocritica: «Prima della crisi, la Fed è stata lenta nel capire e nel correggere gli abusi dei prestiti subprime ». È stato l’immenso «sistema bancario ombra »che s’èlasciato crescere senza preoccuparsi di regolare il livello d’indebitamento, i rischi e la patrimonializzazione delle imprese a far esplodere la crisi: non gli hedge fund, ha precisato Bernanke. E anche le bolle speculative si possono riconoscere e forse circoscrivere: non con i tassi d’interesse, ma raccogliendo tutte le informazioni quantitative necessarie per individuare le fonti di rischio. Walter Riolfi