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 2010  settembre 03 Venerdì calendario

NAJAF RINASCE GRAZIE AI SOLDI IRANIANI

Sulla spianata, tra i riflessi dorati della cupola dell’imam Ali, una folla vestita di nero intona canti lamentosi e cruenti sotto un sole implacabile. I fedeli si muovono a un lento passo di marcia colpendosi il capo con bastoni d’acciaio fino a far sgorgare il sangue: è così che gli sciiti, nel 19esimo giorno del Ramadan, ricordano il quarto califfo, cugino e genero di Maometto, ucciso da una lama avvelenata nel 661 nella vicina oasi di Kufa. Dentro al municipio, confortato dall’aria condizionata, il governatore Adnan al Zurfi snocciola le cifre del boom di Najaf: «Con la caduta del regime baathista questa è diventata la città con più pellegrini stranieri del mondo musulmano dopo Mecca e Medina, l’anno scorso sono stati un milione e mezzo, l’80% iraniani. Da qui al 2012, quando Najaf sarà capitale della cultura islamica, avrò già speso 500 milioni di dollari in case, ponti, strade e assegnato commesse per cinque o sei miliardi».
Gli sciiti - corrente minoritaria dell’Islam rispetto ai sunniti ma la maggioranza in Iraq e Iran - sono i vincitori, insieme ai curdi, della guerra dei sette anni. Najaf è il simbolo di una rivincita sui tempi di Saddam quando erano massacrati a migliaia, gli ayatollah venivano impiccati e le loro cerimonie severamente proibite. È qui che si fanno i giochi politici e religiosi del paese, dove i leader accorrono per ottenere l’imprimatur di Ali Sistani, la Fonte dell’Imitazione, una sorta di papa sciita; è qui che si tramano i governi e prosperano le grandi famiglie degli al-Hakim o dei Sadr, il cui rampollo Muqtada scatenò nel 2004 una rivolta per poi rifugiarsi a Qom, sotto protezione iraniana. È a Najaf, e nella città sorella Kerbala, sede del tempio di Hussein, che Teheran manovra per consolidare la sua influenza sull’Iraq.
Il flusso dei pellegrini sembra inarrestabile. Già arrivare da Baghdad, superando in 140 chilometri una trentina di posti blocco, è un’impresa estenuante, muoversi poi dentro la città medioevale, assediata da bus e corriere, oltrepassando le misure di sicurezza delle guardie di Sistani e i divieti al traffico, è quasi impossibile. Ed ecco la soluzione: l’aereoporto, appena inaugurato, diventerà ancora più grande, come quello dei curdi a Erbil, che con i turchi si sono costruiti una pista da 5 chilometri, una delle più lunghe del mondo.
Ma Najaf vuole primeggiare anche in tecnologia, oltre che nelle faccende divine. Sarà la seconda città del Medio Oriente, dopo Dubai, ad avere una monorotaia. La prima a prova di bomba, con paratie rinforzate e telecamere ogni cento metri per proteggere i pellegrini sciiti che qui, a Kerbala e a Baghdad, sono morti a centinaia negli attentati di al-Qaeda: la commessa è stata vinta dal consorzio canadese TransGlobim per 600 milioni di dollari. Il percorso collegherà tutti i luoghi santi all’aereoporto e alle stazioni dei bus ma non si fermerà qui: il circuito sacro sarà affiancato da un business turistico di stampo nettamente più secolare.
Il progetto è di costruire, fuori dalle mura di questo Vaticano sciita, la "Nuova Najaf", con hotel di lusso, luoghi di ristoro, parchi divertimento e un lago che dovranno attirare i visitatori e allungare i tempi di soggiorno. Najaf, 1,2 milioni di abitanti, potrebbe raddoppiare: sono programmate 8mila abitazioni nel prossimo biennio, la metà realizzate da una società svizzera, le altre - nell’edilizia popolare - dagli iraniani. Tutte cose che il governatore ha illustrato, con i piani per il settore energetico, anche ai nostri imprenditori che ha incontrato un mese fa in Italia.
Adnan al-Zurfi è una delle non tante storie di successo che gli americani si lasciano alle spalle dopo il ritiro. Appare deciso e professionale, parla il linguaggio del businessman, retaggio dei dieci anni in esilio a Detroit, da dove è tornato con un passaporto Usa in tasca. Nel 2003 gli americani lo nominarono governatore, poi cadde in disgrazia, il fratello Hussein venne sequestrato e un paio di volte tentarono di fargli la pelle. Ma nel 2009 è tornato in auge coi voti dei partiti sciiti e il favore degli ayatollah, impegnati con gli iraniani in una campagna pervasiva di proselitismo religioso e sociale.
Il governatore piace agli occidentali come a Teheran, che qui ha aperto un consolato e una Camera di commercio guidata da Masoud Daneshmand. Gli iraniani, secondo Daneshmand, hanno un interscambio che quest’anno potrebbe toccare i 10 miliardi di dollari: insieme ai turchi sono di gran lunga i maggiori partner di Baghdad. Teheran fornisce all’Iraq il 40% dell’elettricità, sta costruendo a Najaf una centrale da 500 megawatt e progetta un gasdotto; in compenso l’Iran importa benzina e gasolio iracheni, aggirando gli embarghi internazionali attraverso il Kurdistan e lo Shatt el-Arab.
Najaf, intrisa di devozione religiosa, è una città-bazar in espansione, dove persino i morti sono un’industria. «Nel "Wadi al Salam", il più grande cimitero del Medio Oriente, una tomba può costare anche 4mila dollari, tutti proventi destinati alle casse dell’hawza, il gran consiglio degli ayatollah », mi informa il giornalista Sadiq Sattar mentre accompagniamo all’ingresso l’autista Sabah in visita al fratello Taher, imprigionato nel settembre dell’80 da Saddam perché simpatizzante comunista e poi svanito nel nulla. Il suo corpo non venne mai trovato e soltanto trent’anni dopo, al crollo del regime, fu rintracciata la sentenza: impiccato il 27 giugno del 1983, a 28 anni. La tomba, ovviamente senza il cadavere, è una semplice pietra inclinata, conficcata a 60 gradi nel terreno. Sotto, la madre di Sabah ha infilato la foto del figlio morto e una camicia stirata per l’ultimo viaggio nel paradiso dei martiri.