Gianni Fochi, Avvenire 3/9/2010, 3 settembre 2010
LO SFUMATO PERFETTO DELLA GIOCONDA
È impossibile nominare il sorriso della Gioconda senza aggiungere o sottintendere l’aggettivo enigmatico. Il mistero che emana da quel viso è ovviamente un prodigio del talento artistico di Leonardo, ma la tecnica da lui stesso messa a punto negli anni vi contribuisce non poco. Ora la rivista tedesca ’Angewandte Chemie’, una delle più prestigiose nel settore chimico, informa che questa parte materiale è stata svelata da un gruppo di scienziati del centro di ricerca e restauro dei musei di Francia e del laboratorio europeo per la radiazione di sincrotrone (Grenoble), guidato da Philippe Walter.
Nei colori leonardeschi la gradazione d’intensità da tenue a scuro quasi sfugge all’osservazione: non appaiono pennellate né contorni, luci e ombre si compenetrano come il fumo si dissolve nell’aria. Siamo appunto ai vertici della tecnica dello sfumato. Con una tecnica che non richiede di prelevare campioni, e quindi non sacrifica nulla dell’opera d’arte, i ricercatori hanno potuto stabilire che il segreto di Leonardo consiste nel sovrapporre molti strati trasparenti.
La tecnica si chiama spettrometria di fluorescenza a raggi X: il materiale da studiare viene colpito da questi raggi, che gli cedono energia e portano gli elettroni dei suoi atomi in livelli energetici ’eccitati’, cioè più alti di quelli stabili; nel tornare allo stato ordinario, questi poi cedono quell’energia ’extra’ sotto forma di fluorescenza, cioè d’una nuova radiazione che viene emessa con una lunghezza d’onda maggiore di quella che è stata usata per provocare il fenomeno. Per spiegare con un esempio che molti conoscono, il nostro occhio non vede la luce ultravioletta, ma, quando essa colpisce certi minerali, ne sprigiona luce visibile, detta fluorescenza, che appunto ha una lunghezza d’onda maggiore.
In ciascun elemento chimico i salti che possono fare gli elettroni sotto il bombardamento dei raggi X sono caratteristici e diversi da quelli possibili negli altri elementi, e così anche le radiazioni emesse per fluorescenza differiscono da un elemento chimico all’altro. Si può dunque fare l’analisi del materiale sotto indagine, sia dal punto di vista qualitativo (quali elementi sono contenuti) sia da quello quantitativo. Il tutto – ripetiamo – senza danneggiare minimamente l’oggetto in esame.
Finora non si era potuti andare oltre lo studiare indistintamente tutto lo spessore dei dipinti. Walter e i suoi collaboratori hanno applicato gli sviluppi più recenti, riuscendo a fare l’analisi quantitativa dei singoli strati di pittura e a determinarne lo spessore.
Esaminando la Gioconda e altre sei opere che coprono ben quarant’anni di vita del maestro, essi hanno messo in evidenza come egli portò nel tempo il suo sfumato a un livello altissimo di perfezione. Nella celeberrima Monna Lisa la differenza fra zone chiare e zone scure fu ottenuta da Leonardo con l’applicazione d’uno strato più o meno spesso, contenente un pigmento a base di manganese. Invece gli strati sottostanti colorati dalla biacca (pigmento bianco al piombo) sono uniformi nella composizione e nello spessore.
Col passare degli anni il genio di Vinci accrebbe la sua abilità nel dipingere e nel preparare le tinte della fluidità opportuna, fino a riuscire a stendere strati di pittura spessi appena qualche micron, ossia qualche millesimo di millimetro. Poteva dunque sfruttare al massimo gli effetti di trasparenza dei vari strati che andava sovrapponendo. Il risultato non sfigurerebbe neppure in confronto con le possibilità offerte ai pittori dalla chimica moderna. I leganti che egli usava erano però assai lenti nel seccare: ogni strato richiedeva settimane o addirittura mesi prima che uno nuovo potesse essergli sovrapposto senza mescolamenti fra i due. Questo può spiegare come mai per creare la Gioconda Leonardo impiegò oltre quattr’anni.