Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 3/9/2010, pagina 80, 3 settembre 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
30 giugno 1960
Magliette a strisce
Contestazioni, pestaggi, morti ammazzati. Un aperitivo degli anni che verranno. Succede che Fernando Tambroni, democristiano di sinistra, formi un governo con i voti decisivi dell’estrema destra e che subito dopo il Movimento Sociale convochi il suo congresso a Genova. I partigiani liguri insorgono e Sandro Pertini infiamma la città con un discorso sui martiri oltraggiati della Resistenza. Una manifestazione antifascista viene indetta per il 30 giugno. Studenti, operai e portuali sfilano indossando le magliette a strisce che diventeranno il simbolo della rivolta. In piazza De Ferrari si va allo scontro con le camionette della Celere, sollevate e rovesciate dai ganci degli scaricatori del porto, i forzutissimi camalli. I poliziotti hanno le pistole scariche, quindi ci si picchia con grande enfasi ma senza conseguenze letali: ganci (diversi agenti avranno la faccia sfregiata), pietre, lacrimogeni, tavolini dei bar, pitali d’acqua bollente in caduta libera dalle finestre. Un ufficiale di polizia finisce a mollo nella fontana e viene circondato da magliette a strisce. Per metterlo in salvo, scrive l’Unità. Per mettergli la testa sott’acqua, replicano i giornali di destra. Benvenuti nell’epoca della doppia verità. Quando torna la quiete è chiaro che il congresso del Msi non si farà più. Furibondo, il segretario del partito Arturo Michelini toglie l’appoggio al governo. «Caro Arturo…» cerca di rabbonirlo Tambroni al telefono. «Ma che Arturo e Arturo! Mi chiami onorevole e mi dia del lei».
Il peggio deve ancora venire. A Roma, in una manifestazione a Porta San Paolo, la polizia manganella i deputati comunisti che aprono il corteo, fra i quali Walter Audisio, il presunto giustiziere del Duce. E il giorno dopo arrivano i morti: tre manifestanti in Sicilia e cinque a Reggio Emilia, durante una battaglia in cui i sassi di operai e studenti si contrappongono ai lacrimogeni della Celere. Alcuni agenti, probabilmente ubriachi, sparano raffiche di mitra nel mucchio: stavolta i proiettili ci sono. Nella Dc comincia una partita opaca a colpi di dossier, di cui Tambroni è un goloso collezionista. Il segretario Moro ne è talmente preoccupato che ogni notte dorme in un posto diverso: diciotto anni dopo si rivelerà un presentimento. Fra un trasloco e l’altro, prepara la ricetta per liberarsi di Tambroni, costruendo il governo Fanfani delle «convergenze parallele», anteprima del centrosinistra. Il «forno» missino è ormai inservibile, d’ora in poi per avere una maggioranza in Parlamento bisognerà accostarsi a quello socialista. Così ha voluto la piazza. E qualcuno, a cui la svolta e la piazza non stanno bene, comincia ad attrezzarsi per la prossima crisi, quando bisognerà anticipare le mosse del nemico. Magari con un colpo di Stato.