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 2010  settembre 03 Venerdì calendario

Pakistan, l’acqua cancella la storia - Scoperta tra la metà dell’800 e gli Anni Venti, la Civiltà della Valle dell’Indo (IV-II millennio a

Pakistan, l’acqua cancella la storia - Scoperta tra la metà dell’800 e gli Anni Venti, la Civiltà della Valle dell’Indo (IV-II millennio a.C.) ebbe una importanza paragonabile a quella dell’Egitto o della Mesopotamia. Con oltre 5 milioni di abitanti al suo apogeo, aveva un sistema sociale di tipo egualitario: le case sono tutte pressappoco della stessa dimensione, con un giardino interno, un bagno con acqua corrente e scolo fognario (sopra). Gli edifici maggiori erano probabilmente granai e grandi bagni pubblici. Non ci sono evidenze di palazzi riferibili a centri di potere religiosi o civili dispotici. Il sistema di scrittura (sopra), composto di circa 200 caratteri, non è ancora stato tradotto. La civiltà si spense tra il 1700 e il 1600 avanti Cristo, forse a causa delle invasioni delle popolazioni ariane (il termine ariano vuol dire, in etimo, «distruttore») che importarono il sanscrito in India e del contemporaneo disseccamento del fiume Saraswati. Mentre il Pakistan sta affrontando la più spaventosa catastrofe umanitaria della sua storia, gli studiosi lanciano l’allarme per il rischio di distruzione di una parte consistente del patrimonio culturale della valle dell’Indo. Il Nord-Ovest del Paese, dove è fiorita la cultura del Gandhara, e la Valle dell’Indo dove sorsero le città della civiltà pre-ariana, è in larga parte sommerso. A Nord, nella Valle dello Swat, il monastero buddhista di Takth-i-Bahi è circondato dalle acque e a Sud, nell’area di Karachi, la cittadella trecentesca di Thatta, capitale storica della regione, è già allagata. Le grandi moschee sufi della regione di Bahawalpur e i siti archeologici del Punjab e del Sindh - al centro e al Sud del Pakistan - sono i centri più esposti, ma anche Lahore, la capitale culturale del Paese, con oltre sei milioni di abitanti, è considerata ad altissimo rischio inondazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Dei 1052 siti archeologici censiti nel Paese, oltre 700 si trovano nella Valle dell’Indo e circa 140 sorgono nelle prossimità di corsi d’acqua stagionali, in particolare nell’area anticamente percorsa dal fiume Saraswati. Rischiano di essere cancellate le ultime vestigia della Civiltà della Valle dell’Indo, i cui centri maggiori si trovano quasi tutti nelle aree alluvionate, da Rupar, appena sotto l’Himalaya, a Lothal, sulla costa dell’Oceano indiano, a Sud di Karachi. L’Unesco ha predisposto una mappa dei principali siti in pericolo e linee guida che hanno permesso all’esercito pachistano di predisporre un piano di emergenza. I militari presidiano i principali siti archeologici, controllano costantemente il livello dell’acqua e hanno costituito un sistema di dighe di emergenza, con sacchi di sabbia tra barriere di legno e metallo. La polizia della città di Sahiwal, da cui dipende Harappa, conferma che la situazione è per ora sotto controllo, anche se l’ingrossamento del fiume Ravi potrebbe portare una parte della popolazione urbana (200 mila persone) a cercare scampo sulle colline e in particolare su quelle, come il sito di Harappa, agilmente raggiungibili in macchina. Per scongiurare questo pericolo il Pakistan ha chiesto all’India di non deviare le acque alluvionali dal Kashmir nel Ravi, ma l’intervento è già stato annunciato da New Delhi. La situazione a Mohenjo-daro è più preoccupante. Quattro villaggi prossimi al sito e la città di Larkana sono stati raggiunti dalle acque. Mohenjo-daro, il cui nome significa «Monte dei Morti», sorge su una collina costeggiata dall’Indo. La città all’apice della sua potenza aveva 70-80 mila abitanti ed era distinta in una vasta zona residenziale e in una acropoli, che culmina oggi in uno stupa buddhista. Gli scavi, iniziati negli Anni Venti, si estendono per circa 100 ettari. Mohenjo-daro fu distrutta dalle piene dell’Indo almeno sette volte. Negli Anni Ottanta, grazie all’Unesco, è stata protetta con un sistema di terrapieni che corre lungo il fianco del fiume per oltre due chilometri. Largo circa 30 metri, con quattro braccia di circa 150-200 metri che spezzano il flusso delle acque, è stato in grado di resistere alle grandi piene del 1992. Il sistema delle barriere non è però studiato per una inondazione da Nord, come quella in atto. Come ci spiega Giovanni Boccardi, capo della Sezione Asia e Pacifico del Centro del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, i rischi riguardano oggi sia il sottosuolo sia la superficie. Per le aree non scavate o per i livelli più bassi di quelle scavate, comprese le fondamenta, grandi variazioni delle falde freatiche possono intaccare l’argilla negli strati archeologici e comprometterne forma e stabilità. Terminata l’inondazione, un pericolo non meno grave è quello della disgregazione dei materiali, per esempio i mattoni, che costituiscono il 90% del materiale da costruzione, collegata alla rapida evaporazione delle acque. Il fenomeno, detto «fluorescenza salina», ricorre anche in condizioni normali: nel processo di evaporazione il sale aumenta il volume dell’acqua e provoca la disgregazione. A Mohenjo-daro esiste un sistema di protezione basato su una sorta di superficie di sacrificio, uno strato di intonaco di terra che subisce l’erosione, evitando il contatto diretto tra materiale archeologico e acqua, e viene rinnovato in genere dopo le grandi piogge monsoniche. Non è certo che l’intonaco abbia resistito alle violente piogge dell’ultimo mese. Mancano del tutto notizie sui siti minori. Il Pakistan è pressoché diviso a metà dalle acque, che coprono una regione grande quasi quanto il Nord Italia, e né il punto di contatto Unesco di Islamabad né la Direzione generale per le Antichità del Pakistan sono in grado di stimare i danni. La perdita di siti come Mohenjo-daro e Harappa, sottolinea Boccardi, avrebbe un impatto estremamente negativo sul Pakistan come perdita di un punto fondamentale della sua identità e penalizzerebbe lo sviluppo turistico del Paese. Mohenjo-daro e Harappa hanno avuto nel 2009 circa 200 mila visitatori di cui oltre il 99 per cento pachistani. Paradossalmente le due città hanno un ruolo cruciale nella mitologia politica degli ultrà hindu dell’India che, senza alcun riscontro storico o cronologico, le hanno elette a sede originaria della civiltà ariana.