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 2010  settembre 03 Venerdì calendario

La punizione perfetta esiste - Il gol perfetto venne fuori in una partita che non significava niente e che invece diventò molto in una notte con mezza luna incollata al cielo del giugno 1997

La punizione perfetta esiste - Il gol perfetto venne fuori in una partita che non significava niente e che invece diventò molto in una notte con mezza luna incollata al cielo del giugno 1997. Il 3, per essere precisi. Si giocava Francia-Brasile in un quadrangolare premondiale e Roberto Carlos, ripudiato dall’Inter di Roy Hodgson per fare posto ad Alessandro Pistone - «Lui sì che è tatticamente disciplinato» -, decise di portare il suo metro e sessantotto sulla palla per calciare una punizione che dopo un viaggio apparentemente assurdo sarebbe finita con violenza nel sette degli almanacchi del calcio e che ieri, a 13 anni di distanza, ha fatto il suo ingresso ufficiale nel grande tempio della scienza, catalogata dai fisici dell’Ecole Polytechnique di Palaiseau alla voce: «Equazione del brasiliano», una formula complicata piena di lambda e di p greco ottenuta partendo dallo studio dei proiettili e ricavata utilizzando piccole sfere di plastica scagliate con la fionda a pelo d’acqua, in grado di spiegare il segreto di quella traiettoria impensabile che se non avesse trovato la porta si sarebbe spenta solo dopo aver disegnato il profilo esatto del guscio di una chiocciola, l’invertebrato più lento ed elegante del pianeta. «Non fu un colpo di fortuna, piuttosto un favoloso, potentissimo gesto di classe che seguì in pieno le leggi della gravità e dell’aereodinamica». Un atto unico, ma non irripetibile. Tre giugno, allora. La porta era 35 metri più in là, ma Fabiene Barthez, portiere spocchioso, pieno di belle donne e di talento, sentì che qualcosa non funzionava e decise di piazzare una barriera vera: 4 uomini, con Zidane a un estremo e Deschamps dalla parte opposta. «Quello è pazzo, non si sa mai». Il pazzo accarezzò la palla, l’appoggiò per terra e cominciò la rincorsa da centrocampo. Il raccattapalle alle spalle di Barthez incrociò le braccia. Roberto Carlos arrivò saltando e mollò un sinistro spaventoso - d’esterno, «il colpo delle tre dita» lo chiamava lui sentendosi un po’ Black Mamba di Kill Bill - che invece di far partire il pallone verso la porta lì per lì lo scaraventò in direzione del calcio d’angolo. «Pensai: problema archiviato, questo tiro finisce sulla luna», raccontò Barthez. Sbagliava. La palla seguì la curva di una banana e dopo aver girato attorno alla barriera rientrò insensatamente verso il primo palo e si infilò in rete. Ci furono due secondi di silenzio. Il raccattapalle si tolse le mani dalla faccia («Ho creduto che quel pallone mi avrebbe ucciso»), Deschamps le appoggiò sui fianchi («Mai vista una cosa così»), lo stadio impazzito schizzò in piedi ad applaudire il gol del definitivo 1-1. Ronaldo montò sulla testa di Roberto Carlos e lo baciò e anche Romario, uno che non abbracciava mai nessuno, gli strinse le braccia al collo. «Mamma mia che cosa hai fatto». «Ha voluto così il Signore». Ma non fu una decisione celeste e neppure un colpo di vento, come scrisse qualche giornale francese l’indomani, più semplicemente il risultato di un involontario calcolo esatto, che dopo mesi di lavoro Christophe Clanet, ricercatore capo dello studio pubblicato sul «New Journal of Physics» è riuscito a mettere sulla carta. «Ci siamo accorti che la traiettoria di una sfera che gira su se stessa può diventare una spirale e che un pallone come quello di Roberto Carlos, scagliato a quasi 120 km all’ora è in grado di rendere ininfluenti la gravità e la resistenza dell’aria. Platini e Beckham non avrebbero potuto fare una cosa del genere. Per «l’equazione del brasilano» serve una potenza rara e la palla deve stare poco oltre la linea di centrocampo. Senza queste due componenti - forza e distanza - il risultato non arriva». Dunque più della matematica serve l’uomo. Roberto Carlos dopo la partita disse di sentirsi più leggero. Come se avesse appeso le ossa agli spigoli delle nuvole. «Mi sembra di aver fatto qualcosa di straordinario, ma non so che cosa». Aveva preso il suo istinto selvaggio, lo aveva buttato su un pallone e precipitando in uno strano sogno si era ritrovato ad accarezzare le curve perfette di una chiocciola. Niente più di questo. Andrea Malaguti ****** MA SE NON FOSSE STATO GOL, L’AVREBBERO STUDIATA? - Come faccio a dimenticarla? La punizione di Roberto Carlos, quella punizione, mi impressionò, un gesto tecnico sensazionale, da restare a bocca aperta. Ora mi chiedete se sia stata la punizione perfetta, anzi se ne esista una. Fidatevi, esiste, è quella che entra in rete, la punizione vincente. Non c’è bisogno di disturbare matematici e fisici. Nel calcio il risultato assorbe l’esecuzione, come il contenitore con il contenuto. Pensate che se quella punizione fosse andata fuori di un soffio, o fosse finita sul palo, pensate che se Barthez l’avesse parata ne verrebbe ancora esaltata l’importanza? Dubito che l’avrebbero studiata per analizzarla. La bellezza sta nell’essenzialità: il pallone è entrato, non importa come, se con un effetto particolare o perché è stato calciato forte, all’incrocio dei pali o sul palo interno, spiazzando o no il portiere. Tutti particolari. Anche perché con i palloni di adesso si sono moltiplicati i modi di calciare: se colpisco bene, in un certo modo, imprimo subito una traiettoria particolare. Dunque, se la perfezione è il risultato, come faccio a raggiungerla? Alla base di tutto c’è il talento, una sorta di perfezione inconsapevole, legata alle capacità tecniche e mentali di chi calcia. La testa è importante, ci sono una serie di dati da analizzare e c’è una decisione da prendere, in poco tempo. Devi valutare la posizione in cui ti trovi, quella della palla e del portiere tra i pali, studiare la collocazione della barriera e dei compagni. È chiaro che da 30 metri difficilmente tenterai un tiro a giro: niente di matematico, semmai un po’ di filosofia. E gli allenamenti? Incidono sulle percentuali di successo, più ti eserciti più sono alte, ma gli allenamenti non sopperiscono al talento. All’inizio della mia carriera, segnavo quasi esclusivamente tra i 16 e i 22 metri. Con il passare del tempo ho allungato le distanze e variato i modi di calciare, anche a seconda delle condizioni climatiche e del terreno. Ho una mia posizione ideale, diciamo tre passi a sinistra dal centroporta. E quando riesco a far gol sento di aver raggiunto la perfezione, la massima efficienza. Alessandro Del Piero