FABIO MARTINI, La Stampa 3/9/2010, pagina 4, 3 settembre 2010
Gianfranco torna a casa per ritrovare il suo popolo - Mirabello, paesino dal nome panoramico, è rimasto anche l’ultimo luogo dell’anima per la destra italiana
Gianfranco torna a casa per ritrovare il suo popolo - Mirabello, paesino dal nome panoramico, è rimasto anche l’ultimo luogo dell’anima per la destra italiana. Per trenta anni in questo piccolo centro nell’entroterra Ferrarese, intere generazioni di camerati sono venute a far festa, a prendere ordini, a cullare nostalgie. Qui, si sentiva a casa sua Giorgio Almirante, il più carismatico dei duci missini, che quando si sentì mancare le forze, volle venire alla festa del 1987: senza alzarsi, restando seduto, con la mano destra tremante, designò come suo delfino uno spilungone di 35 anni, l’emiliano Gianfranco Fini. A Mirabello, per più di venti anni, si sono sentiti a casa loro capi e capetti che ogni anno facevano un bagno di militanza alla festa tricolore che segnava il riavvio della stagione. Per tutti gli ex An, il legame è rimasto così forte con la tradizione e con la memoria che qualche settimana fa, quando i finiani locali hanno preteso di appropriarsi della festa, un vecchio frequentatore di Mirabello come Ignazio La Russa ha fatto di tutto perché la kermesse restasse in casa Pdl. Invano: Mirabello, al via due giorni fa, oramai è diventata la festa di Futuro e libertà. Ma qui, più di tutti, si è sempre sentito a suo agio Gianfranco Fini. Perché Mirabello è casa sua, qui ci sono le sue radici. In questo paesino, ottantacinque anni, fa era nata sua mamma, Danila Mariani. Diventata grande, la Danila si era sposata con Sergio Fini ed è proprio con la nascita del loro primo figlio, il 3 gennaio del 1952, i due compiono una scelta simbolica. I genitori decidono di chiamare quel bimbo in fasce Gianfranco, in ricordo di un giovanissimo parente, sette anni prima inghiottito senza un perché nelle vendette partigiane del triangolo rosso. Nel 1945, l’Emilia era restata spezzata in due dalla linea Gotica, pezzi di famiglie da una parte, brandelli dall’altra. Finita la guerra, il ventenne Gianfranco Milani parte da Bologna verso Monghidoro alla ricerca dei parenti dispersi, li ritrova, torna felice verso casa, ma prima di rientrarvi - sospettato di essere parente di fascisti - viene fatto scomparire. Mai più ritrovato. Gianfranco Fini deve il suo nome a quel ragazzo. Negli anni dell’infanzia il futuro leader missino cresce tra Bologna, Rivabella, una località balneare a buon mercato vicino Rimini e la campagna di Mirabello, dove spesso lo riporta la mamma, «una emiliana a sangue freddo», come ricorda il figlio, per via di quella misura nelle parole che la facevano così diversa dal marito. Il padre di Fini era invece un bolognese gioviale, corpulento, un vero mangiapreti, volontario della “X Mas”, ma che nel corso degli anni si era moderato. Nel bel libro «Duce addio», raccontò di aver votato socialdemocratico e di essere stato amico di Luigi Preti, che mandava a casa Fini «lettere scritte con la stilografica e l’inchiostro verde». Ma in quegli anni a Bologna, missino o socialdemocratico poco cambiava, papà Sergio, in casa era «la pecora nera», perché la famiglia Fini era una famiglia di comunisti. Come lo zio Aurelio, iscritto al Pci bolognese dal 1959. Per dirla alla Pennacchi, quella di Fini è stata, a suo modo, una famiglia «fasciocomunista». Un tratto che ritorna anche nel racconto di Enrico Brandani, capogruppo Pdl a Ferrara, uno che c’era dall’inizio: «Oggi sembra tutto facile, ma 29 anni fa era durissima fare una festa nell’Emilia rossa. E poi quelli erano gli anni di piombo, mica si scherzava. Poi, ci siamo organizzati e, quest’anno devo riconoscerlo, una mano ce l’ha data l’amministrazione comunale di centrosinistra». E le radici emiliane di Mirabello, Fini non le ha mai tagliate. Qui, a partire dal 1981, veniva Almirante ad aprire la stagione politica, qui Fini è tornato ogni anno e l’anno scorso ha pronunciato un discorso auto-profetico. Erano i giorni in cui "Il Giornale" di Feltri tambureggiava contro il direttore di "Avvenire" e Fini, dalla tribuna di Mirabello, dopo essersi scagliato contro il Pdl ridotto «ad una casermetta», parlò di «clima da killeraggio», perché se si tenta di demolire la persona si arriva all’ordalia, agli Orazi e Curiazi». E dal palco di Mirabello, dopodomani alle 6 della sera, Fini pronuncerà un discorso che forse è diventato il più atteso della sua lunga carriera. Ieri sera, uscendo da Montecitorio, uno dei suoi uomini più fidati aveva ritrovato il sorriso: «Dopo i giorni difficili e anche un po’ deprimenti di Ansedonia, Gianfranco è tornato aggressivo e in palla, come ai bei tempi».