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 2010  settembre 03 Venerdì calendario

FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "DE NEGRI

PIETRO"

2009
La dove il Canaro si fece giustizia nascerà un pub.
C’è ancora chi, alla Magliana, se le ricorda bene le parole con le quali Pietro De Negri, detto er Canaro, confessò alla polizia l’omicidio di Giancarlo Ricci. L’ex pugile fu smontato letteralmente pezzo a pezzo dopo essere stato intrappolato nella gabbia nella quale er Canaro, tosatore di cani, teneva gli animali. Oggi, proprio lì dove c’era quella gabbia, c’è un tavolo. .
[...]E l’incarnazione di quella vecchia toeletta per cani è oggi in un pub.
Fonte: Alessandro Calvi, il Riformista 20/12/2009

Era il 18 febbraio dell’88 quando, in una discarica di via Cruciani Alibrandi, al Portuense, un allevatore di cavalli scoprì qualcosa che assomigliava a un cadavere e che finiva lentamente di bruciare.
[....]Una notte in questura, il racconto non regge e De Negri crolla: «Sì, sono stato io. Gli ho tagliato le orecchie come a un dobermann, gli ho aperto la testa e gli ho lavato il cervello con lo shampoo dei cani. Non ne potevo più di quell’infame».
Fonte: varie, scheda n° 157099, (2008)

2007
Dopo 17 anni Pietro De Negri torna in libertà: non può uscire di casa dalle 21 alle sette, e non può lascisare Roma senza permesso. Ma ha un lavoro: una toelettatura per cani.
[....]Lo scrittore Vincenzo Cerami inserì la storia del Canaro in uno dei suoi libri: «Fattacci» edito nel 1997 con il titolo «La vendetta del Canaro».
[...] «lasciatemi in pace, voglio essere dimenticato». Pietro De Negri non vorrebbe raccontare, non vorrebbe tornare con i ricordi a quando per tutti, dopo un orrendo delitto, diventò «il Canaro». Esce di buon mattino dalla sua casa nel quartiere Quartaccio, case popolari affogate tra Primavalle e Boccea, lontano dalla Magliana e dal passato. Impossibile non riconoscerlo, non è cambiato, solo un po’ meno mingherlino. Jeans e giubbotto. Dice: «Anche se adesso voi parlaste solo di come sono oggi, di quello che faccio, di quello che sogno per me e la mia famiglia, è impossibile che non si ritorni a parlare di quel ”fatto” e io non voglio». Ha ragione De Negri. Impossibile non partire da quel febbraio di 19 anni fa quando si rese protagonista di uno dei fatti di cronaca più atroci del Novecento. Impossibile. Pietro ne è consapevole: «Per questo ho rifiutato molti soldi che mi sono stati offerti per raccontare la mia storia».
[....]De Negri sale sull’utilitaria nera della figlia Paola, direzione ospedale dove deve essere visitato. E’ a lei, a questa ragazza che oggi ha 27 anni - «per favore non scrivete il suo nome» - che Pietro De Negri pensa. E’ per lei che in carcere, 17 anni, si è trasformato da balordo a detenuto modello, lo scrivano del braccio C14, quello che aiutava i più deboli, malati di Aids e extracomunitari, sempre puntuale nel rientrare dai permessi premio. Poi la libertà, in affidamento alla polizia. Un nuovo quartiere e anche un lavoro, fattorino nello studio di un commercialista del quartiere Prati che conosce bene la sua storia e che ha accettato di dargli una mano a un patto: niente pubblicità. Abita all’ultimo Piano, De Negri e dal ballatoio si affaccia il muso di un pastore tedesco, i cani sono rimasti la sua grande passione. Poco più di cinquanta metri quadri dove De Negri ha ritrovato la normalità. La sveglia alle 7, poi al lavoro, accompagnato dalla figlia o con l’autobus, i lavoretti da fabbro il pomeriggio in un angolo del garage. La televisione sempre accesa.
[...]Colpisce che in questa sua nuova vita, intorno a lui, nessuno si riferisca a lui come «il mostro». Alfredo e Romeo sono due anziani che vivono nell’appartamento di fronte a quello della famiglia De Negri. Sanno chi è il loro dirimpettaio, cosa ha fatto, ma dicono: «E’ una persona buona, che ci aiuta. E’ venuto ad aggiustarci la casa, a dipingerla, e non ha voluto un soldo».
Fonte: Maria Corbi, La Stampa 17/3/2007

2005
Il vicequestore Antonio Del Greco, nel 1988, dirigeva la sezione omicidi della mobile.
[...]Come arrivaste a De Negri?
«Sembrava che avesse una voglia matta di farsi arrestare. Piombò in casa dei parenti di Ricci e si autoaccusò di una rapina a uno spacciatore di droga che, diceva di aver fatto assieme alla vittima. Noi ancora brancolavamo nel buio. Lo portammo in questura e, poco a poco, cominciammo a sospettare di lui. In tutta questa storia c´è un testimone che non abbiamo mai rintracciato: un tizio che aspettava Ricci fuori dal tosacani e che riportò la macchina dell´ex pugile sotto casa. Sparito».
E poi?
«Capimmo che De Negri mentiva. Si contraddiceva di continuo. Alla fine lo convinsi a confessare».
Come?
«Gli dissi: se sei un uomo, dillo che sei stato tu. E lui crollò. Se sono un uomo? Senta che gli ho fatto a quell´infame. E cominciò a raccontare».
[...] La scarcerazione definitiva è stata decisa il 4 ottobre scorso dal tribunale di sorveglianza presieduto da Pietro Canevelli Negri, sulla base di una relazione del giudice a latere, Cappelli. «Non gli è stato regalato niente, ha pagato per quello che ha fatto» commenta il difensore che chiede l´anonimato. [...] De Negri non è più neanche l´ombra dell’uomo che fece avere ai giudici della corte d´Assise un memoriale di questo tono: «Non sono pentito, se rinasco lo faccio un´altra volta». «Siamo furenti, non abbiamo mai ottenuto giustizia» sbotta Alessandro Ricci, il papà della vittima.
Fonte: La Repubblica 27/10/2005, pag.33 Massimo Lugli