Lara Vecchio, Il Sole 24 Ore 2/9/2010, 2 settembre 2010
EUROPA DEL CALCIO IN AUSTERITY
L’ombra lunga severa e rigorosa del fair-play finanziario incombe sul calcio europeo. È l’inizio della fine delle squadre- giocattolo con bilanci che presidenti facoltosi sono pronti a ripianare di tasca propria, mentre si affaccia l’era dell’azienda costretta, per scongiurare l’autodistruzione o nel caso specifico per non incorrere nel rischio di esclusione dalle competizioni europee, a far quadrare i bilanci e dove possibile produrre utili. Le ultime sessioni di calcio mercato sono la cartina al tornasole che attesta che, rispetto al campionato precedente, per la stagione 2010-2011 le cinque principali leghe europee (Inghilterra, Italia, Spagna, Germania e Francia) hanno risparmiato 830 milioni rispetto all’anno precedente, secondo le statistiche del sito tedesco www.transfermarkt. de specializzato in transazioni. Circa un miliardo se aggiungiamo il dato relativo a campionati europei di seconda fascia.
Tra le big five europee i più virtuosi, in termini di variazione percentuale, tra il mercato 2009/10 e quello appena concluso per la stagione 2010/11 sono stati i francesi della Ligue One che hanno speso il 48,2% in meno con un esborso di 139,9 milioni rispetto ai precedenti 270,2. Ma il campionato francese è certamente meno ricco rispetto a quello delle più rappresentative Premier League, Serie A, Bundesliga e Liga. Il campionato inglese, forte della sua leadership a livello mondiale in termini di ricavi (2,3 miliardi di euro) si è infatti concesso una spesa decisamente superiore a quella della altre sorelle: per il mercato estivo sono stati sborsati 424,3 milioni contro i 585,6 registrati l’estate scorsa (-27,5%). Decisamente meglio ha fatto in termini di variazione percentuale la Bundesliga che ha risparmiato il 36% di spesa passando dai 244,5 milioni dell’ultimo campionato ai 156,6 investiti quest’anno. Le più virtuose sono state Spagna e Italia tagliando rispettivamente i costi del 47,2 e del 42%. La Liga ha investito 262,9 milioni, quasi la metà di un anno fa e l’Italia è passata dai 510,5 ai 295, 9. A concorrere a queste cifre al ribasso sono state senza dubbio le nuove formule di scambio applicate a giocatori di indistinte fasce di prezzo, che prevedono un fisso più basso più bonus calcolati sul rendimento oppure il prestito gratuito per il primo anno (come nel caso di Ibrahimovic) con l’impegno a riscattare il cartellino a fine stagione o addirittura a spalmarne l’acquisto in due o tre anni come una sorta di leasing.
Secondo Dario Righetti, partner Deloitte, «la riduzione dei costi della campagna acquisti delle società europee deriva non solo dall’esigenza delle società di adeguarsi entro il 2014 ai parametri imposti dalle nuove direttive Uefa ma anche da una nuova cultura della sostenibilità da parte dei gestori che dovrà inevitabilmente passare attraverso regole sul medio periodo. Al taglio dei costi sul mercato dovrà essere associata una riduzione degli ingaggi, la gestione privata degli stadi da parte delle società e un investimento più importante sui settori giovanili».
Intanto, dopo l’esperienza sudafricana, la Uefa ha deciso di bandire le vuvuzelas da tutte le competizioni.