Roberto Da Rin, Il Sole 24 Ore 2/9/2010, 2 settembre 2010
TUTTO PREVEDIBILE? CINQUE ACCUSE DALLA MINIERA CROLLATA
Sull’Airbus 318 di Lan Chile che parte da Santiago alle 7 di mattina e arriva a Copiapò dopo un’ora e mezza ci sono 122 passeggeri. Centoventi uomini e due donne. Sono tutti tecnici: meccanici, macchinisti, saldatori, gruisti, elettricisti, topografi, ingegneri, geologi. E minatori, ovviamente. La maggior parte di loro va alla miniera San José, quella de Los 33, i sepolti vivi che attendono d’esser tirati fuori.Sono lì dentro dal 5 agosto scorso, il giorno del cedimento, quando una blocco di roccia di 700mila tonnellate, qualcosa di simile a un palazzo di quattro piani, è crollato e ha ostruito la risalita dei minatori.
Una fatalità? Un incidente imprevedibile? Proprio no, ci sono almeno cinque fattori che avrebbero dovuto imporre la chiusura della miniera, ben prima di quel maledetto pomeriggio d’agosto.
Le uscite di emergenza
Oltre ai tunnel, le miniere dovrebbero prevedere l’installazione di uscite di emergenza. In questo caso, qui alla miniera di San José, si è parlato di scale montate lungo ifori che garantiscono l’areazione. La miniera di San José non le aveva o almeno non dappertutto. Avrebbero dovuto esser costruite da E-minning Operations, cui i proprietari, la famiglia Bohn, avevano delegato la gestione operativa della miniera.
Il responsabile della sicurezza del giacimento, Vincenot Tobar, che ha lasciato San José nel 2009, ha dichiarato che i Bohn erano davvero restii ad applicare i protocolli internazionali.
Le fortificazioni del tetto
Chi lavorava a San José, boca mina,
ovvero dentro, sapeva da tempo che all’apertura della nuova vena non erano seguiti i lavori di fortificazione sul tetto della miniera. In altre parole, un nuovo fronte minerario provoca una maggiore debolezza delle pareti e del tetto che devono essere rinforzati. Ma questo non era avvenuto.
Le norme di sicurezza
I problemi strutturali della miniera, che solitamente pesano in una percentuale vicina al 10% sul rischio di collasso della struttura, nel caso di San José superavano il 60 per cento. Nel 2007 morì un topografo, Manuel Villagran: venne schiacciato dalla caduta di una roccia all’interno del giacimento. In quel momento la miniera venne chiusa. Un geologo, Anton Hraste, direttore generale di Sernageomin, ha spiegato che «in precedenza le norme di sicurezza venivano rispettate, la tecnologia era adeguata. Ora (ed era il nel 2007, ndr ) non più e quindi è necessario chiudere la miniera».
Le tangenti
Perché un anno dopo è stata riaperta, quindi? L’imputazione di omicidio colposo è stata superata, in fase giudiziaria, con un indennizzo di 180mila dollari alla famiglia del topografo. Tuttavia, secondo gli avvocati de Los 33, ciò non spiega perché la miniera sia stata riaperta nel 2008. I responsabili tecnici, Antonio Vio, direttore del giacimento, e il suo vice, Patricio Leiva, si palleggiano le responsabilità ma non è chiaro se l’autorizzazione finale alla riapertura sia stata ottenuta con il pagamento di una tangente ai responsabili del ministero.
La riapertura
Resta poi un grande punto interrogativo: anche qualora fosse stata pagata una tangente - si chiede ora il ministro delle Miniere, Laurence Golborne- «perché prima della riapertura non è stata costruita la scala di risalita? ». Era questa infatti la condizione tecnica per riprendere le attività.
I proprietari, la famiglia Bohn
Gli imprenditori minerari, a queste latitudini, sono figure onorevoli e rispettate. Prima di tutto dai minatori che conoscono il rischio d’impresa e il pericolo che le quotazioni del rame possano crollare.
La famiglia Bohn non godeva però di nessuna fiducia, qui nella Tercera Region, nel nord del Cile. Alejandro Bohn, proprietario della miniera San José, vantava un passato professionale in una multinazionale che nulla aveva a che fare con il settore minerario. Quando assunse la direzione della miniera, nel 2004, volle accelerare fin da subito i margini di produttività, senza aumentare i margini di sicurezza. L’altro socio, Marcelo Kemeny, figlio di Jorge Kemeny, un vecchio imprenditore minerario molto rispettato, conosceva bene questa realtà ma venne messo ai margini della società.
Un’altra conferma della cattiva gestione dei Bohn arriva dalla posizione finanziaria dell’impresa, in particolare dall’insolvenza nei confronti dei fornitori e dall’evasione fiscale registrata negli ultimi anni.