Elisabetta Iovine, ItaliaOggi 2/9/2010, 2 settembre 2010
SCIOPERI IN CINA CONTRO IL GIAPPONE
Avviso alle multinazionali giapponesi che si sono insediate in Cina: è tempo di ingrossare le buste paga dei lavoratori. In caso contrario, le aziende devono prepararsi a quello che potrebbe essere definito un autunno caldo. Protagonisti, una volta tanto, non sono le tute blu dei paesi europei ma la manodopera a basso costo dell’ex Celeste impero.
Tutto è partito dai recenti incidenti che hanno colpito Foxconn, l’azienda taiwanese che produce articoli di elettronica per i colossi Apple, Nintendo e Dell.
La catena di suicidi, innescata dall’obbligo di sottoporsi a turni di lavoro massacranti in cambio di stipendi da fame, ha costretto i vertici aziendali a concedere sostanziosi aumenti in busta paga. Si tratta pur sempre di importi bassi rispetto a quelli dell’Occidente, ma l’iniziativa è il sintomo di un cambio di direzione nelle politiche retributive.
Forti di questo episodio, le autorità di Pechino hanno deciso di soffiare sul fuoco delle proteste, riconoscendo ai lavoratori cinesi il diritto di scioperare per essere pagati meglio. Le prime avvisaglie ci sono già state, con una serie di stop illegali alla produzione avvenuti negli stabilimenti della Honda e della Toyota.
Ora molti analisti ritengono che la politica del basso costo del lavoro, che ha fatto la fortuna dell’occupazione in Cina e che ha permesso al paese di crescere economicamente a ritmi sostenuti, attirando cospicui investimenti dall’estero, sia destinata presto o tardi a entrare in crisi: ciò avverrà nel momento in cui i lavoratori prenderanno coscienza (e questo sta già avvenendo) del loro potere contrattuale sui datori di lavoro. Una ricerca di Morgan Stanley stima che, mentre attualmente il costo del lavoro rappresenta circa il 14% del prodotto interno lordo cinese, tale percentuale potrebbe raggiungere il 30% nell’arco di dieci anni.
Ma un innalzamento delle paghe sarà determinato anche da un altro fattore: la prossima carenza di manodopera. Molti giovani, infatti, non ritengono più conveniente emigrare dalle campagne per andare a cercare fortuna nelle fabbriche. Gli esperti prevedono che anche nei prossimi anni, comunque, il costo del lavoro in Cina rimanga competitivo a livello globale. Ma occorrerà trovare una sintesi tra due spinte contrapposte: da un lato, la necessità di attirare investimenti e imprese; dall’altro, la capacità di garantire migliori condizioni di vita ai lavoratori e alle loro famiglie. In caso contrario, a rimetterci saranno sia il paese asiatico sia i colossi dell’industria.