Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 02 Giovedì calendario

CITTÀ DA RIFARE

Voluto da Giulio Cesare, fu completato da Augusto nel 17 a.C. e prestò servizio come teatro fino al V secolo, praticamente accompagnando tutta l’epoca ascendente della Roma imperiale. Il teatro Marcello, a due passi dal Campidoglio, è forse il maggiore esempio di riciclaggio di un edificio storico. Tra le sue possenti colonne, nell’alto medioevo s’insinuarono piccole botteghe, come pargoletti che si aggrappano alle gambe della madre, mentre i pilastri acquisivano funzione di castello, finché nel XIII secolo Baldasarre Peruzzi per conto dei Savelli non vi costruì sopra il palazzo che tuttora si ammira. I diversi passaggi si leggono distintamente nelle sue facciate: colonne romane e residenza signorile, e le arcate restaurate nella seconda metà dell’800 quando lo spazio circostante fu liberato e l’antico teatro-palazzo divenne anche monumento: anche, ma non soltanto. Un aggregato di storia e di stili, di brani di vita e di ambizioni, espressione della capacità umana di modificare l’ambiente attraverso la stratificazione, non la distruzione.
Tra i molteplici altri casi di riciclaggio di edifici antichi basti pensare a Santa Sofia di Costantinopoli, voluta da Giustiniano nel 537 con quella magnifica cupola poggiante su una corona di aperture, che dovette essere in tre riprese ricostruita. Trasformata in moschea dopo la conquista turca del 1453, con l’aggiunta di quattro minareti, fu riadattata da Atatürk a museo nel 1935. Un percorso in parte inverso a quello compiuto dalla cattedrale di Valencia: gli arabi costruirono una moschea dove c’era una chiesa ma, a seguito della Reconquista, essa fu ristrutturata in basilica cristiana.
Sono tutti esempi in cui, assieme al riutilizzo per scopi differenti, si operano interventi cosmetici e strutturali, ma comunque mantenendo la coerenza materica e formale rispetto al preesistente. È curioso notare come oggi, malgrado un clima culturale che privilegia la conservazione, la forse eccessiva infatuazione verso il cemento armato ha portato a volte a interventi che sollevano perplessità. Per esempio a Frejus, in Francia, c’è un’antica arena romana o, meglio, vi sono resti che lasciano peraltro ben visibile l’anfiteatro originario. Allo scopo di valorizzarlo e riutilizzarlo secondo i criteri di sicurezza necessari oggi per un teatro, seppure all’aperto, si sta portando a termine la ricostruzione delle parti mancanti: in cemento armato. Una tecnica affatto estranea a quella dei blocchi di pietra, ma anche una resa esteriore di assai dubbia congruenza, contro la quale è insorto il periodico specializzato La Tribune de l’Art, con una campagna all’insegna della «lotta al vandalismo ».
Innestandosi sulla pratica ormai inveterata della conservazione delle opere storiche, il tema dell’archeologia industriale è sorto solo recentemente (il primo congresso su tale tema si è svolto in Italia nel 1977), e si è presentato subito accompagnato da un’idea di «riciclaggio ». Infatti si è posto anzitutto come proposta di trasformare edifici o intere zone industriali dismesse, in musei. Un esempio di questo genere di intervento è la Centrale termoelettrica di Roma, «Montemartini» (dal nome dell’assessore che la volle realizzare). In zona Ostiense e non lontana dal Tevere, inaugurata nel 1912, la sua architettura risentiva della prosopopea classicheggiante dell’epoca, alleggerita da grandi finestrature suggerite dalla necessità di far circolare aria e luce nell’immensa sala macchine, e fu ampliata e completata in anni successivi. Il ciclo di vita delle sue macchine si esaurì a metà degli anni ’60: dalle caldaie a carbone si passava alle turbine a gas. Si discusse se abbatterla, ma alla fine degli anni ’80 l’Azienda comunale energia e ambiente di Roma decise si recuperarla.
Nella vecchia sala macchine fu aperto uno spazio espositivo e i decori di cui era ornata furono mantenuti, così come è stata mantenuta la facciata principale, altri locali invece furono totalmente modificati cancellando quanto v’era di originale. Parte museo, parte uffici; conservazione e riutilizzo: questa la logica che sta alla base di tale progetto, come di tutti i progetti che riguardano le vecchie installazioni