LUIGI GRASSIA, La Stampa 2/9/2010, pagina 11, 2 settembre 2010
La corsa al rimborso Un percorso a ostacoli - La legge è fatta così: magari uno va in tribunale e i giudici gli dicono pure che ha ragione, ma quanto poi a riavere indietro il maltolto è tutta un’altra faccenda, ci vuole una nuova causa, magari molto più impervia della precedente
La corsa al rimborso Un percorso a ostacoli - La legge è fatta così: magari uno va in tribunale e i giudici gli dicono pure che ha ragione, ma quanto poi a riavere indietro il maltolto è tutta un’altra faccenda, ci vuole una nuova causa, magari molto più impervia della precedente. E proprio in questa maniera, a prima vista, si presenta anche il caso dei pedaggi Anas: i consumatori hanno ottenuto la soddisfazione morale di aver ragione - in due gradi di giudizio, peraltro solo nella causa sulla sospensiva, mentre il merito non è stato ancora affrontato, campa cavallo - ma anche una volta ottenuta una sentenza favorevole definitiva comincerà un nuovo percorso giudiziario a ostacoli, e non è facile prevedere se alla fine gli automobilisti riavranno indietro qualcosa. Il Codacons, cha ha vinto le cause presso la giustizia amministrativa, nel periodo degli aumenti contestati consigliava a chi pagava i pedaggi di tenersi le ricevute per avere il rimborso degli extra, e adesso dalla sede dell’organizzazione Stefano Zerbi passa in rassegna le varie ipotesi sul da farsi, partendo dalla più elementare: «L’automobilista - dice - potrebbe scrivere una raccomandata all’Anas e chiedere indietro i soldi pagati in più, allegando la fotocopia della ricevuta. Noi ci auguriamo che la stessa Anas predisponga un meccanismo, una struttura, per smaltire in fretta i rimborsi.Ma almeno per adesso questo non succederà, perché l’Anas dice di voler aspettare la sentenza definitiva del giudizio di merito». A quel punto sì, l’Anas potrebbe decidere di pagare, senza altre formalità, chiunque presenti la ricevuta del pagamento. E a questo proposito Zerbi sottolinea che l’Anas ha già nei suoi computer un elenco di clienti e di pagamenti che non hanno bisogno di essere provati: «Chi al casello usa il Telepass - dice - o la carta di credito, o le carte prepagate, lascia una traccia elettronica nei computer delle società di gestione delle autostrade. Sarebbe facile poi all’Anas accreditare i rimborsi, anche senza chiedere di mostrare ricevute o estratti conto. Sempre che l’Anas lo voglia». Ma supponiamo invece che non voglia. Che cosa succede allora? In teoria ogni cliente, forte delle sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, potrebbe intentare una causa individuale per avere indietro i suoi soldi; ma questo è poco plausibile, vista la modestia delle somme in gioco. Ecco allora che si apre la strada della «class action» in versione italiana. Si tratta di una possibilità introdotta da poco nel nostro ordinamento, modellata (in parte) sull’azione di classe all’americana, ma molto depotenziata. Le cose andrebbero così. Una volta ottenuta una sentenza definitiva della giustizia amministrativa nel giudizio di merito, un certo numero di persone che si ritengono danneggiate (ma ne basta anche solo una) vanno dal giudice, sostenute da un’associazione di consumatori come il Codacons, e presentano ricevute e sentenze. Il giudice le convoca per un’altra udienza, in cui comunica se la class action è ammissibile o no. Se dice di no, non c’è più niente da fare (e così è finita nell’unico precedente italiano fino ad ora, in una causa intentata dal Codacons contro Intesa Sanpaolo a Torino). Se invece il giudice dice sì, la causa può partire. Spiega l’avvocato Marco Ramadori, che del Codacons è uno dei presidenti e ha curato le cause dei pedaggi Anas: «A quel punto il Codacons deve pubblicizzare sui mass media, a sue spese, che è partita una class action, e gli interessati hanno 120 giorni per aderire. A differenza di quanto avviene in America, dove tutta la “classe” di persone che si trovano nelle stesse condizioni dei ricorrenti può farsi avanti dopo la vittoria in tribunale e ottenere automaticamente il risarcimento, come se avesse partecipato alla causa, in Italia la sentenza vale solo per chi aderisce in questa fase». Niente paura per le spese legali: di regola il Codacons chiederebbe come contributo i 50 euro dell’iscrizione annua all’associazione, ma in casi come questo, quando le cifre di cui si chiede il rimborso sono piccole, la tessera è scontata a 10 euro. E poi? Poi ci sono i soliti tempi delle cause. Chi la dura la vince.