Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 01/09/2010, 1 settembre 2010
LE PREDICHE ANTISEMITE DEL CARDINALE MINDSZENTY
La sua pubblicazione della lettera del dottor Giuseppe Casarini (Corriere, 29 luglio) pecca, almeno per due gravi colpe: 1) lei ha tagliato (come era forse una necessità) la lettera, ma lo ha fatto in un modo che ne ha stravolto completamente il senso. Forse lei non era in grado di rispondere al quesito del lettore, ma allora sarebbe stato più corretto, da parte sua, non pubblicarla. 2) lei, nella sua conclusione, in quelle ultime parole di assoluzione del Cardinale, si erge a giudice. Mi permetta di chiederle in grazia di che cosa lei si concede tale ruolo.
Emanuel Segre Amar
Segreamar@fastwebnet.it
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Caro Segre Amar, La lettera a cui lei si riferisce ricordava anzitutto uno scambio epistolare che l’autore ha avuto su questa pagina, a proposito del cardinale Mindszenty, con Indro Montanelli. La lettera era molto lunga e conteneva un simpatico giudizio di Montanelli su di me che mi sembrò poco elegante pubblicare. Mi sono limitato quindi ai due temi della lettera: il cambiamento del nome, da Pehm a Mindszenty, e il tono anti-ebraico delle sue prediche nel primo dopoguerra. Con un richiamo all’autobiografia di uno scrittore franco-ungherese, François Fejtö, ho confermato che Mindszenty è nato Josef Pehm e ha cambiato il suo nome dopo la Grande Guerra. Una lettrice, Alice Esherhazy Malfatti di Montetretto, mi ha scritto che Mindszenty significa Ognissanti e che il cambiamento del nome tedesco sarebbe avvenuto nel 1941 quando il prelato, non ancora cardinale e dichiaratamente anti-nazista, volle così ripudiare la componente austro-germanica della sua famiglia.
Sulle prediche anti-ebraiche non ho molto da aggiungere. Viveva allora in Ungheria una forte comunità ebraica e Budapest era spesso chiamata ironicamente Judapest. Vi era certamente nel Paese, come in Austria, parecchio antisemitismo, ma questo non aveva impedito agli ebrei di raggiungere posizioni eminenti nel mondo accademico e nelle libere professioni. La situazione peggiorò dopo la rivoluzione bolscevica quando tutti (e fra i primi gli stessi membri della borghesia ebraica) furono sorpresi e sconcertati dallo sproporzionato numero di ebrei presenti ai vertici del partito comunista: 32 commissari del popolo su 45. Non conosco il testo delle prediche di don Pehm, ma so che era stato messo in prigione dai rivoluzionari e suppongo che le sue parole riflettessero il clima del Paese in quel momento. L’antisemitismo fu una brutta pagina di storia europea, ma non mi sembrerebbe giusto scaricare le responsabilità del genocidio su chiunque abbia criticato gli ebrei, anche ingiustamente, negli anni precedenti.
Non mi sembrerebbe giusto, inoltre, inchiodare Mindszenty al ricordo delle sue prediche anti-ebraiche del primo dopoguerra. Quando parliamo di un personaggio storico e descriviamo i suoi errori abbiamo l’obbligo di completare il quadro con le altre fasi della sua vita e, nel caso di Mindsenty, con il caparbio coraggio di cui dette prova in difesa della sua Chiesa contro il regime comunista nell’Ungheria del secondo dopoguerra. Quando litigò con gli amici della Voce e lasciò il giornale di Giuseppe Prezzolini, Gaetano Salvemini disse: «Se ho da dirvi due verità e voi mi costringete a dirne soltanto una, mi obbligate a mentire».
Sergio Romano